«Che cos’è la poesia», il vademecum motivazionale di Daniele Giancane
di Vito Davoli
«Tanti – troppi – pubblicano libri di poesia o postano poesie sui social senza sapere nulla. Pensando che la poesia sia soltanto una libera espressione di sentimenti. E non è affatto così. E, quindi, rivalorizzando Facebook come strumento di trasmissione culturale e indotto da una mia propensione a insegnare (nel senso di voler comunicare ad altri interessati l’esito di ricerche, studi, letture), ho dato mano a un vero e proprio corso di mini-lezioni attorno alla poesia, che vuol essere – dunque – una specie di vademecum per chi si dedica a quest’arte, soprattutto i giovani, gli esordienti o – comunque – tutti coloro che non hanno riflettuto abbastanza sull’essenza della poesia. Con autentico spirito ‘di servizio’ – quindi – (verso la poesia stessa e verso i suoi ‘cultori’, autori e lettori), licenzio questo piccolo libro. Che vada libero per il mondo» (“Che cos’è la poesia” di Daniele Giancane, Tabula fati, 2020)
Il vademecum motivazionale – posso dirlo? Una lettura scorrevole, affascinante, anche avvincente per chi guarda alla poesia con occhi “diversi” rispetto alla nobile pratica letteraria che non riempie la pancia. Una scrittura essenziale che va dritto al punto, come ci ha abituati la scrittura del Giancane più maturo e che non è mai gettito incontrollato ma flusso continuo, costantemente sottoposto al setaccio attento dell’autore che applica alla sua stessa prosa uno dei dettami più rigorosi e necessari che nel testo suggerisce, anzi, quasi impone anche per la poesia: il classico labor limæ è prerogativa necessaria per chi si cimenta con la pagina bianca da “sporcare” in versi.
«C’è un pensiero di fondo – dichiara Giancane in un’intervista a Barbadillo (www.barbadillo.it) – che va sfatato: la poesia non è un semplice percorso di estrinsecazione delle emozioni, ma è anche un severo e diuturno “lavoro di lima” come dicevano gli antichi. La competenza nella “composizione” (conoscenza, ad esempio, delle figure retoriche) e almeno un’infarinatura della storia della poesia sono assolutamente necessari nel “corredo” del poeta».
Un testo che prende forma riorganizzando un’esperienza nata sui social – Facebook in specie – e che capitalizza e sintetizza le necessità di un’esperienza collettiva della quale però il professore evidenzia, oltre agli errori, i fraintendimenti, le lacune e persino le banalità o gli strafalcioni, anche e soprattutto l’atteggiamento e l’interesse del pubblico: registra, senza tema di smentita, una voglia di poesia serpeggiante soprattutto fra i giovani e che probabilmente è il vero input della decisione di mettere quell’ esperienza in un testo a disposizione di tutti.
Ma il primo passo va fatto indietro e non avanti: scrivere poesia è innanzitutto scrivere ed è per questo che non basta l’ispirazione fulminea. Usa anche l’ironia per esprimere concetti spesso duri da accettare per chi resta convinto del contrario: un sorriso lievemente accennato che non è burla ma quasi un’amichevole, fraterna “pacca sulla spalla” con la quale Daniele – prima che il professor Giancane – ti invita a convincerti del fatto che, come per parlare prerogativa necessaria è il saper ascoltare, così è necessario dedicarsi alla lettura prima di poter scrivere e avere persino una “propria” scrittura. Si snoda così una serie di annotazioni esperienziali, consigli letterari, semantici e semiotici, sintesi estetiche e tecniche, exempla e strumenti conoscitivi da “bottega” che fanno di questo testo un vero e proprio vademecum del quale con molta probabilità anzi, direi quasi con assoluta certezza, chi si accosta alla poesia non può che sentirne il bisogno. Non senza contestualizzare questa propedeutica alla poesia in un panorama editoriale – quello contemporaneo – raramente serio quando non edonistico, illusorio se non addirittura truffaldino e ridicolo.
Mi piace tuttavia aggiungere un aggettivo a quel vademecum: trovo che il più calzante sia quello di considerarlo “motivazionale”. Questo testo dovrebbe servire al poeta in potenza come l’acqua nel deserto proprio per sviluppare in fatti quella potenza inespressa e inesprimibile se non attraverso “i ferri del mestiere” e il lettore interessato percepisce chiaramente, pagina dopo pagina, quelle “pacche sulla spalla”, quei “questo non si fa” e quei “guarda qui, per esempio” come solleciti a mettersi alla prova, mai come falciate indifferenti e un po’ snob di chi fa di una presunta conquista del Parnaso scettro, corona e mantello da Marchese del Grillo.
È sufficiente leggere l’indice, anzi consiglio di cominciare la lettura proprio dai titoli dei capitoli per sentire montare la voglia e l’impazienza di cominciare ad ascoltare il professore che ti invita ad entrare in “bottega”: c’é dell’Arte con cui confrontarsi. C’é da imparare!
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