Dall’Inferno di Dante all’ILVA di Taranto

intervista ad Alfredo Vasco

di Sandro Marano

 

Barba e capelli bianchi, fluenti, disordinati, sguardo profondo, intenso, gestualità e voce che sanno evocare scene e provocare emozioni,  a volte giocoso a volte pensoso, Alfredo Vasco, che fu conquistato giovanissimo al teatro dopo un fortuito incontro col grande Giorgio Albertazzi di cui fu allievo e collaboratore, è una sorta di Ulisside contemporaneo, nell’aspetto e nel pensiero. Attore, regista, autore di testi teatrali e di racconti surreali, è nato “in una landa desolata della Puglia, portando con sé barlumi di Basilicata”. La sua età anagrafica è indefinibile, o meglio, come ci dichiara lui stesso, dipende molto dal suo stato d’animo.  Ma sospettiamo che da un pezzo abbia superato il mezzo secolo. Il teatro si fonde e confonde con la sua vita.  Sabato 18 e domenica 19 dicembre porta in scena a Bari al teatro Barium uno spettacolo “sulfureo”, dall’indubbia valenza ambientalista: “da l’Inferno di Dante a l’ILVA di Taranto”.

Allora, Alfredo, come è nata questa idea teatrale, questo accostamento tra l’Inferno di Dante e l’ILVA di Taranto?

Questa idea teatrale è nata come sempre: con una folgorazione. Una intuizione. Mi dibattevo da quasi un anno con l’Inferno di Dante. Volevo raccontarlo. Sottolineando la sua contemporaneità. Ma senza tradirne lo spirito e i contenuti. Dante è stato raccontato in tutte le salse. Dal Benigni istrione alle grotte più profonde. Vagolavo. Improvvisamente mi sono imbattuto in un Inferno più vicino a noi. Un Inferno che si può toccare con mano. L’Ilva di Taranto. Io continuo a chiamarla così. Perché così si è sedimentato il Mostro nel nostro immaginario collettivo. E tutto è stato chiaro. Dovevo raccontare i due Inferni. Quello senza tempo del Sommo Poeta. E quello del nostro tempo.

Certamente, se visitiamo il siderurgico di Taranto con i suoi altiforni, le sue montagnole di carbone, il suo fuoco perennemente acceso e l’aria acre, il paragone si impone spontaneamente e con forza…

“Fatti non fummo a viver come bruti”… Ma certe volte ci riusciamo benissimo.

La tua idea del teatro, se non erro, va al di là della prosa in senso stretto…

Canzoni. Musiche dal vivo. Con la chitarra e la voce di Tonino Errico. Videoproiezioni. È un teatro che fa della multimedialità espressiva la sua cifra narrativa.

 Come è strutturato lo spettacolo, di cui tu sei regista ed anche  drammaturgo insieme alla poetessa Mara Venuto?

Si può contestualizzare l’opera del più grande poeta italiano? Si può rendere contemporanea? Vincere la sfida del tempo? Senza dubbio!… “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”… E recitarlo nel rione Tamburi di Taranto? “Per me si va ne la città dolente”… E sullo sfondo le terribili ciminiere dell’acciaieria? Si può!… Otto canti dell’Inferno: Canto I (Selva oscura. Virgilio), Canto III (Caronte. Celestino V), Canto V (Paolo e Francesca), Canti XIV (Violenti contro Dio), Canto XXIII (Ipocriti), Canto XXVI          (Ulisse), Canto XXXIII (Conte Ugolino), Canto XXXIV( Lucifero)… La suggestione dei versi del Sommo Poeta si esalta anche con la recitazione sul palco. Ad incastro con i video, reciterò Dante. E poi, cinque donne raccontano… Cinque attrici (Silvia e Barbara Cuccovillo, Barbara De Palma, Erika Lavermicocca e Antonella Radicci) emozionano e si emozionano…

 E raccontano storie tratte dalla realtà o dall’immaginario?

Quattro storie vere ed un fatto di cronaca. Testimonianze drammatiche. Urla, denuncia, dolore: Una mamma che ha perso la figlia. Una figlia che ha perso entrambi i genitori. Una giovane donna che ha perso il suo fidanzato. Una donna condannata all’infertilità. Una volontaria nel reparto di oncologia pediatrica. Testimonianze vere, frutto di interviste con le protagoniste del dolore. Per raccontare il mostro che divora le vite. Per raccontare le vite divorate dal mostro. E l’urlo si leva al cielo: “Il nostro inferno!”

 

Il tuo spettacolo è anche una denuncia politica e sociale?

Emozione. Denuncia. Rabbia. Dolore. Ed il teatro diventa consapevolezza, partecipazione, commozione. Io non sono però per il Teatro politico. Sono per l’emozione. I cazzotti nello stomaco. Il rimanere senza fiato. Il teatro è una formidabile lente di ingrandimento.

Un’ultima domanda. Il disastro ambientale dell’ex ILVA è sotto gli occhi di tutti. Inaugurata nel 1965, si è rivelata ben presto una scelta politica miope e folle. L’allora classe dirigente era accecata dal mito dello sviluppo e dell’industria. Per gli ecologisti profondi è la prova che non si può conciliare sviluppo e sostenibilità, che il progresso non di rado è anche regresso. Tu che cosa ne faresti dell’ILVA?

Va chiusa, senza se e senza ma. Dieci anni di decontaminazione con sussidi e riqualificazione per gli operai. E poi turismo sostenibile, sulla costa che va da Taranto a Metaponto. Dove ci sono spiagge e pinete stupende!

 

(intervista apparsa su Barbadillo il 12 dicembre 2021)

 

 

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