¿Conocerán vuestras raíces toscas Riconosceranno le vostre ruvide radici
mi corazón en tierra? il mio cuore in terra? Giuseppe Zilli, nel suo recente lavoro poetico Gli occhi si perdono (Artenoa, 2023), fa proprio di un albero il protagonista dei suoi versi. È un albero di comunità, al centro del suo paese, sotto il quale ci si sedeva da giovane, sotto il quale tuttora a volte chiacchiera con gli amici, sotto il quale scorrono e si intrecciano le vite. Un albero dall’ampio fogliame che ricopre tutta la piazzetta, la cui recente potatura, per motivi di sicurezza, viene vissuta dall’autore come una ferita: uno strappo al cuore, è questo l’arrivo, non è il vento che accarezza le foglie e le fa tremare di compassione, non è l’aroma di caffè che fa frenare il dolore. non bastano le parole per spegnere il tempo, era giusto? le braccia troppo lunghe potevano oltrepassare la misura e soccombere per il peso? […] Una ferita inferta allo stesso albero, ma anche alla collettività che le sue fronde accoglievano, e al poeta che in qualche modo riconosce nel magnifico Ficus Rubiginosa una figura paterna, protettiva, un amico che si prende cura di lui e di cui egli deve prendersi cura. Il legame che sente con quest’essere vivente, a cui si rivolge dando del tu, è cosi forte che ogni anno, per il solstizio d’estate, lo illumina con 21 lampade realizzate di volta in volta con materiali differenti. Nella silloge rappresenta quasi visivamente questo evento, denominato “l’albero dei lumi”, in versi che sembrano dondolare appesi ai rami: le foglie brillano in festa il 21 giugno, lo sanno che è il loro giorno le lampade si allineano a danzare in un vortice giocoso, poi le parole schiudono il silenzio, accompagnate dalla musica di una fisarmonica fino a quando le lucciole recidono il loro intervallo. Nelle sue poesie le parole, essenziali, asciutte, sembrano stagliarsi nella luce, spuntare tra i fili d’erba come pietre. L’artista ci presenta ciò che la natura stessa offre. A noi non resta che ammirare: la creazione produce silenzio, tutto tace, il buio scortica la luce, le pietre si ammassano tra le zolle, l’erba grida la propria alba, l’artista immobile guarda l’ universo. le opere, intense, brillano di bellezza. Anche con le pietre ha un rapporto particolare. In molte poesie la loro presenza ci confronta con la storia, col passato, col paesaggio, con il silenzio da cui nasce la parola. Da scultore, poi, le coccola, le accarezza, le scava il giusto, quanto basta per farle esaltare, preservando però la loro essenza originaria, il racconto ch’esse già contengono. Giuseppe Zilli, infatti, non è solo un poeta, ma un uomo per il quale l’arte, la bellezza – richiamata non a caso in esergo con i versi di Rainer Maria Rilke – sono fondamento, base, certezza, azione quotidiana. La vita stessa. Un sovrabbondare di creatività che trova espressione nella pittura, nella scultura, nella poesia senza che i confini siano sempre ben definiti. Come in questo prezioso libro in cui poesia e pittura si uniscono. L’opera presenta più di cinquanta componimenti, intervallati da pagine bianche e da pagine che contengono delle piccole immagini realizzate con pigmenti su carta Hahnemühle 8 x 11,5 cm. Sono dieci immagini in tutto, ognuna diversa dall’altra, tutte dipinte a mano e sovrapposte una ad una dallo stesso Zilli in ogni esemplare. L’armoniosa bellezza delle immagini, la porosità della carta, i testi che sembrano sollevarsi in rilievo, disposti secondo una ricercata geometria, rendono questo libro speciale, un vero libro d’arte, da leggere, da guardare, da toccare.