Le otto montagne di Paolo Cognetti, Einaudi, 2016

di Claudia Zuccarini 

 

Nel 2022 uscì nelle sale l’omonimo film tratto dal romanzo “Le otto montagne”, ben scritto ed emotivamente complesso.

Cognetti dà prova della sua bravura con una scrittura precisa, vivida e riflessiva. Conoscitore delle montagne, l’autore ce le descrive con un amore tenace che si intreccia al forte legame amicale con Bruno. In quello che appare essere più di un romanzo di formazione, si rintraccia una crescita che separa più volte le strade dei ragazzi e che li riconduce a ritrovarsi. Chi appartiene alla montagna, vi rimane o vi ritorna. Nella metafora della vita c’è chi si sofferma sulla montagna centrale e chi deve scalare le otto cime che la circondano.

Grana e il suo paesaggio trascurato sembrano avere poco da offrire, ma in quel poco risiede tutto il fascino che richiama la famiglia di Pietro. Ne sgorga un legame imperituro come i ghiacciai sulle vette.

Le pregevoli descrizioni ambientali conducono a una lettura sensoriale pervasiva e si ha la percezione di essere in alpeggio e ancora più su con Pietro e Bruno. L’analisi psicologica dei personaggi è ottimamente definita, come l’accurato linguaggio montano. Il ritmo narrativo segue le stradine impervie tra i sassi, con un principio faticoso e via via un cammino sempre più sciolto e coinvolgente. È un parallelismo che ben si presta alla storia.

Tra intervalli di magra qualità, nel 2017 il Premio Strega vede la premiazione di quest’opera interessante e avvolta da smisurati affetti non espressi.

“Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”

 

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