Soldi e potere nel mondo moderno di Niall Ferguson, Ponte alle Grazie, 2001

di Claudia Zuccarini 

 

Niall Ferguson è uno storico ed economista britannico. Autore di diversi saggi controversi, avvalla il metodo della storia controfattuale, ovvero un tipo di storiografia che contempla esiti alternativi rispetto a quelli che si sono realmente verificati (che cosa sarebbe successo ad esempio se gli africani avessero colonizzato l’Europa?).

Venendo al saggio oggetto di questo scritto, bisogna anticipare che va “digerito” con la calma dovuta, tanto per comprendere il linguaggio tecnico di alcuni capitoli quanto per soffermarsi sui riferimenti storici.

È originale per differenti motivi, individuabili in modo più semplice e intuitivo nei seguenti punti:

– l’insolita ipotesi di partenza, riguardante il legame tra democrazia e crescita economica (semplificando molto il raggio di studio dell’autore, decisamente più complesso);

– la puntuale analisi svolta capitolo per capitolo su tutti gli aspetti legati all’economia, utili da comprendere perché quanto mai attuali (disavanzo, inflazione, debito pubblico, titoli obbligazionari, mercato dei titoli, regimi di tasso di cambio, indici di democratizzazione, spese militari ecc.);

– l’analisi di questi aspetti è affrontata con carrellate storiche dettagliatissime;

– la ricerca bibliografica è sterminata e testimonia uno studio certosino e competente (la parte relativa alle appendici, note e bibliografia è molto corposa);

– il linguaggio, pur essendo specialistico (la mancata comprensione di alcuni passaggi credo sia stata dovuta all’ignoranza terminologica di chi scrive), è fluente e cerca di spiegare le problematiche con ordine e nel modo più comprensibile possibile;

– Ferguson non ha peli sulla lingua e non teme di addentrarsi in un terreno che molti potrebbero trovare azzardato;

– l’autore giunge alla conclusione che i soldi non sono l’unico fattore deterministico dell’epoca moderna (dal 1700 ad oggi), perché vi è sempre la componente umana, la quale porta alla legittimità di uno stato ed è legata a beni intangibili: la tradizione, il carisma dei leader politici, la credenza popolare e la propaganda.

Bisogna, per par condicio, citare cosa non sarebbe condivisibile in un’ottica umanistica. Nelle ultimissime pagine l’autore spiega come sia auspicabile un maggiore investimento – e di seguito intervento precauzionale nelle situazioni politiche illiberali – del PIL interno in spese militari. A quanto pare, ciò non inficerebbe sull’economia degli USA e sarebbe giusto per stabilire una logica di potere economico-politico, pur contemplando perdite umane. Ma anche una sola vita umana, sacra, non pone in discussione questa teoria basata sulla prevenzione?!

Un saggio molto accurato e foriero di dibattiti e riflessioni sui nostri tempi.

 

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