Tutto è distrutto di Palazzeschi

di Sandro Marano

 

«Muoiono i poeti, ma non muore la poesia», proclama Aldo Palazzeschi (1885 – 1974) in Congedo, la poesia che chiude la sua ultima raccolta di versi pubblicata nel 1972 dal titolo emblematico Via delle cento stelle.

Ormai ottuagenario Palazzeschi era da poco tornato alla poesia con Cuor mio (1968) dopo una lunga stagione narrativa ed un silenzio poetico durato quasi trent’anni. Via delle cento stelle  è un bilancio: cento composizioni, cento domande, cento riflessioni su vari argomenti: la poesia, la scrittura, il sesso, la libertà, gli italici difetti, la vecchiaia. In questa raccolta la poesia trae spunto dalla realtà quotidiana. Tende all’epigramma. Tutte le composizioni hanno un andamento narrativo.  I toni si fanno più pacati, non ci sono più l’estro e gli sghiribizzi futuristi ancora presenti in qualche misura nell’opera precedente.

Palazzeschi ha attraversato il Novecento con irrefrenabile giocondità. Ha avuto molti amori letterari: è stato di volta in volta crepuscolare, futurista, realista, senza però essere troppo fedele a nessun indirizzo. Ha sempre conservato l’animo di un fanciullo che si chiede il perché di tutte le cose, avendo come bussola l’umorismo, che è un atteggiamento di amore per la vita colta nei suoi contrasti.

«Perché scrivere?», si domanda il poeta. Non solo per amore della parola, ma anche per la speranza «di trovare una mano sconosciuta / da poter stringere nell’oscurità» (Lo scrittore).

Nessun tema in verità è estraneo alla poesia. Erra chi vuole restringerla, ingabbiarla, asservirla ad un solo tema, magari al tema sociale «perché tutti li ha in sé» (Il valore della poesia).

Palazzeschi è uno dei pochissimi poeti italiani che già negli anni ’60 del Novecento affronta la questione ambientale. Il panorama letterario italiano era infatti dominato dall’ermetismo, dall’intimismo, dallo sperimentalismo, dalla poesia civile. Lo stesso Pasolini, che pure scrive versi memorabili a difesa della bellezza antica del paesaggio e contro il degrado delle periferie (pensiamo ad esempio alla poesia 10 giugno in Poesia in forma di rosa) giunge ad acquisire una maggiore coscienza ambientale solo dopo l’intervista a Pound nell’autunno del 1968. Per Pasolini la questione ambientale è un capitolo della distruzione della civiltà contadina operata dal neocapitalismo e dal nuovo Potere della società dei consumi (da lui impropriamente ribattezzata “nuovo fascismo”).

Tornando a Palazzeschi, nella raccolta Cuor mio del 1968 ci sono due poesie a tema ecologico di straordinaria forza ed attualità: L’angelo ribelle e Paesaggio atomico.

La prima è un lungo poemetto in cui il poeta immagina che un gruppo di angeli torni davanti al Signore per raccontare l’esito della loro spedizione sulla terra. E mentre ciascuno di loro enumera con tono ora allarmato, ora ironico, ora divertito le malefatte degli uomini, dall’inquinamento della terra, dell’aria e dell’acqua, alla lotta per accaparrarsi l’oro e allo sfaldamento dei rapporti d’amore, solo l’angelo ribelle se ne sta «dal gruppo un po’ /distante / con la tunica nera»  e resta in silenzio, quasi volesse rivolgere un muto rimprovero al Signore, che però lo accoglie con benevolenza, riconoscendo che si era «ribellato così bene». Ribellarsi è dunque giusto, sembra suggerire il poeta.

La seconda, Paesaggio atomico, è la più breve lirica della letteratura italiana. È costituita dall’intera pagina bianca e da un quinario in basso a sinistra: «tutto distrutto». Più eloquente di così!

 

 

 

 

 

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