L’ultima strega di Emanuela Bianchi, Oligo editore, 2024

Redazione

 

Calabria, seconda metà del Settecento. Cecilia Faragò è accusata di essere una strega e di aver provocato la morte del parroco. A vessarla, due preti che vogliono impossessarsi dei suoi beni. Vedova e analfabeta, si affida a un giovane avvocato che porterà il suo caso fino alla corte di Napoli e riuscirà a smascherare gli impostori, dando l’occasione a re Ferdinando di abolire per sempre il reato di stregoneria.

Emanuela Bianchi ha il merito di aver fatto uscire dall’oblio una storia dimenticata, oggi al centro di una rievocazione annuale a Soveria Simeri, raccontata nella sua opera teatrale LaMagara e oggi in questo nuovo libro.

 

Dalla prefazione di R. Alessandrini: «Questo breve racconto ha una lunga storia, che merita di essere riassunta, almeno per sommi capi. Una madre regala alla figlia il libro di uno studioso di storia locale. Il testo ricostruisce una vicenda realmente avvenuta in Calabria nella seconda metà del Settecento, quella di una donna – Cecilia Faragò – che rimane vedova, non intende risposarsi e che, pur essendo analfabeta, ritiene di far valere i propri diritti fino al grado supremo di giudizio, la Gran Corte della Vicaria di Napoli.  Accusata ingiustamente di essere una strega e di avere provocato con una fattucchieria la morte di un parroco, vessata da due avidi preti che reclamano con l’inganno i suoi averi, affida la propria difesa a un giovanissimo avvocato ventenne, che con una formidabile arringa, degna della migliore retorica del secolo dei Lumi, smaschera gli impostori e restituisce alla donna il suo diritto.  Re Ferdinando IV, nel 1770, coglie l’occasione per abolire il reato penale di magia dai suoi territori. Cecilia Faragò sarà così l’ultima donna nel Sud d’Italia a essere accusata, e assolta, da calunnie costruite sulla superstizione e sul pregiudizio. Confinata per oltre due secoli in un ambito prevalentemente locale, la storia dell’“ultima strega”, sempre in virtù di quel libro regalato da una madre a una figlia, diventa un testo teatrale. Perché la figlia è antropologa e attrice e, nella vicenda narrata, intravvede qualcosa che va riportato alla luce e arricchito di nuovi significati. Inizia così una ricerca sul campo, un’indagine serrata nel piccolo paese calabrese che ha fatto da scenario alla storia»

 

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