Natale: Per una nuova prossimità
di Giorgia Loi
Ogni Natale ha la sua rinascita, corre col tempo in cui si manifesta in pienezza. Da questo, mi attendo la fine di un’isteria collettiva che sta inquinando tutto ciò che è umano: le relazioni, il concetto di empatia, il principio di condivisione e vicinanza. A Betlemme chiedo che ci restituisca il valore di una prossimità condivisa, un principio eterno che ha aiutato l’uomo a progredire, a sperimentare che il dono più grande sono e restano sempre le persone, proprio nella loro imperfettibilitá. “È ciò che è imperfetto che insegna ad amare”, secondo Jung, ciò che ci rende umani, inferiori, bisognosi. La tecnologia non ci ha aiutato a restare vicini, è un’illusione crederlo; per stare vicini abbiamo bisogno del fiato dell’altro, del suo calore, della sua presenza reale e la cifra di Betlemme è il fiato, non c’è altro per “scaldarsi”: l’amore è un’emanazione divina che si allarga a tutto ciò che la circonda, uomini, animali, il paesaggio, ma non è un’idea astratta, è Presenza, carne e fiato, è della stessa natura del corpo, di cui si serve per manifestarsi. Oltre questo ci sono solo solitudini. Null’altro. È quello che abbiamo sperimentato più volte nella storia ed è quello che viviamo da due anni.
Il cristianesimo è esigente in questo senso: molti credono che sia una “filosofia” astratta, fatta di santini sbiaditi dal tempo e di madonne incensate durante le feste comandate, una questione di folklore, insomma. Ma, in realtà, non c’è niente di più umano, concreto e tangibile del messaggio cristiano, tanto che si fonda sul mistero dell’Incarnazione: Dio diventa uomo e ne condivide tutte le fattezze, compresa quella del dolore. È un evento eccezionale, una sorta di contraddizione nel panorama filosofico-religioso dell’antichità e continua ad esserlo oggi. Quello che ne hanno fatto gli uomini di questo messaggio potente e autentico a Dio non interessa, lui intendeva altro e ogni anno a Natale è l’occasione buona per ricordarcelo. Il cristianesimo non ammette distanze: non si può amare per corrispondenza, i più grandi santi sono scesi per strada e hanno sanato a mani nude piaghe putrefatte, sfamato poveri, seppellito cadaveri infatti, accolto nelle loro case stranieri e mendicanti, respirando l’alito della terra, di cui l’uomo è parte viva.
In questi giorni, tra tutta la spazzatura che circola nei mezzi d’informazione, ho trovato le parole di un medico italiano, Guido Silvestri, che, durante questi due anni, ci ha guardato dall’America affondare in un delirio inarrestabile di terrore e non sense come mai avrei creduto il modernismo potesse generare. Ogni tanto ha cercato di riportare la discussione a toni pacati e realistici, ma, come si dice, “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. Le sue parole bisogna andarsele a cercare (Il Tempo.it 24/12/21), vengono battute meno dalle agenzie di stampa, perché evidentemente sono scomode, sono un invito a percorrere la strada dell’equilibrio, che alla fine è sempre vincente. Meno lo è quella dell’isteria rispetto alla quale l’unico vaccino è il motto “conoscere e ponderare” oltre che non elevare a dogma principi che non lo sono.
Professore di virologia alla Emory University di Atlanta, cerca di riportare la realtà dei fatti sulla mutazione del Covid arrivata dal Sudafrica. “Mentre i media mainstream straparlano di ‘Tsunami Omicron”, dice, “la letalità calcolata di COVID-Omicron sembra molto più bassa di quella delle varianti precedenti.” Infatti i dati dal Sudafrica su quasi 400.000 casi parlano di 0.26% di letalità, paragonata al 2.5%-4.0% delle ondate precedenti. Questo con una popolazione vaccinata solo al 26.3% e una bassa pressione sulle terapie intensive del Sudafrica (60 milioni di abitanti) con un totale di 546 letti occupati (molto meno che in Italia).
Inoltre, secondo uno studio della LKS Faculty of Medicine alla Università di Hong Kong, diretto da Michael Chan Chi-wai e John Nicholls, la variante Omicron infetta soprattutto le cellule delle alte vie respiratorie e dei bronchi, meno quelle del tessuto polmonare profondo. Dunque, sottolinea Silvestri, saremmo di fronte ad una minore severità clinica osservata in Sudafrica. Ma questa conclusione non viene battuta dai media, e si preferisce continuare ad abusare di freni e restrizioni, facendo percepire la libertà come una concessione elargita da un “deus ex machina” che ha il volto terrificante del Leviatano di Hobbes, e diffondendo per ogni dove parole sferzanti e violente nei confronti dei non allineati. Per tacere del rischio che si corre a drammatizzare di una variante arrivata dall’Africa: i “sensibili” al tema migrazioni sono già in avanzato stato di allarme rispetto ai controlli di frontiera.
E allora: che mai può aver a che fare questo spirito dilagante col Natale?
Credo niente.
Tornare a noi e in noi, riappropriarci di quell’umanità spogliata di calore, impoverita di sostanza, guardare in ogni direzione all’altro come a uno specchio in cui riflettersi, prendere decisioni coraggiose cercando d’invertire il flusso della corrente, “servire” l’uomo in tutte le forme che la dignità chiede, scegliere con cura le parole da offrire sapendo che avranno un impatto in chi le riceve, amare la verità, odiare la menzogna, promuovere il cambiamento per primi, scegliere sempre il coraggio delle idee alla paura dell’imprevisto, perché “solo chi ha superato le sue paure sarà veramente libero” (Aristotele). Questo è il mio augurio di Buon Natale per tutti noi.
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