A corpo libero di Doris Bellomusto, editrice Le pecore nere, 2024

di Maria Pia Latorre

 

A corpo libero, con sottotitolo Esercizi di poesia, è una raccolta poetica bipartita in due sezioni perfettamente coerenti: “Ieri – Come le rondini al cielo” e “Oggi – Come lucertole al sole”, due avverbi di tempo, due animali esemplari, due ottonari per dividere un prima e un dopo, in continuità con il percorso artistico dell’autrice, trasparente come acqua di sorgente nel suo procedere poetico.

La raccolta, con delicata prefazione di Marina Maggi, contiene una nota finale dell’Autrice che è una limpida dichiarazione d’intenti, la chiusura perfetta del cerchio apertosi con la poesia “Propositi” che da l’abbrivio alla raccolta, in cui vengono chiaramente elencati i propositi della silloge.

Con precisa e tersa coerenza,  con le poesie, che si fanno esercizi di vita, più che esercizi di poesia, come vuole sobriamente il titolo, l’autrice ci svela:  «Si spezza la vita quando si scrive in versi e il verso è l’unità di misura della poesia, sia dal punto di vista ritmico che visivo. Si scrivono andando a capo e ogni verso contiene la possibilità di un nuovo inizio. Crediamo che la poesia possa essere rivoluzionaria proprio perché rinuncia alla linearità e abbraccia la complessità del pensiero che volge a capo. Può dare vertigini leggere poesie e per abbracciare questa forma letteraria bisogna rinunciare a punti di riferimento consueti e accoglierne il respiro».

Una poetessa lucidamente in cammino, tra ricerca di sé e fragilità (inizio della prima sezione e tutta la seconda), ricordi e nostalgia, attaccamento al luogo d’origine (sopratutto nella prima sezione), maternità e famiglia (sopratutto nella seconda sezione) e osservazione della natura. Ma tutti questi temi sono tenuti insieme dal tema centrale dell’opera, motore primo,  l’amore per la vita.

Di fatti tra le occorrenze, senza dubbio la prima è “cuore”, presente in moltissime poesie e a cui sono state dedicate due intere poesie, “Cuore mio” e “Cuore”, entrambe contenute nella seconda sezione; un cuore pulito, che non basta mai, tanto che la poetessa “divora”, in spasmodico bisogno di vita, perché (è lei che lo dichiara): “resto viva” (p. 65).

Nitida l’idea che la poetessa ha dell’amore: esso è imperfetto sì, ma le imperfezioni hanno per lei connotazione positiva, sono portatrici di autenticità e vita, sono il midollo dell’esistenza, tanto da suggerire “amatele le imperfezioni” (p. 72).

In questo cammino verso la vita un altro elemento importante è il tempo (seconda delle occorrenze nella silloge); il tempo che “non invecchia se parla con gli angeli“ (p. 63), che è indifferente (p. 73), che si fa solco (p. 85); il tempo che è immobile nella sua ripetitività.

L’esubero di energia vitale, nelle poesie, passa attraverso la necessità di nominare, di dare salda effige di nominalità ai sentimenti; nomi in successione che non agiscono né si qualificano. Molti i versi, quindi, che sono nominali, in questa raccolta, e sappiamo quanto sia importante nominare per un artista della parola, ha sia valenza archetipica che gnoseologica; e qui è proprio l’amore ad essere declinato nei nomi degli elementi della vita quotidiana, qualsiasi sia il luogo di riferimento, il bosco o la città, la casa o il mare.

In questo sistema interiore solido e coerente, l’artista ha posto in essere la sua esistenza, tra difficoltà e fermezza. Ha dovuto decidersi per scelte determinanti nella sua vita, difficili (spostarsi dal profondo sud calabro all’alta Toscana): “sono la somma di mille vite non mie” (p. 66), ma continua a scegliere ogni giorno di percorrere la strada della positività, crede nella bontà dell’umanità, anche se è consapevole del ragno e del tarlo nascosto nelle travi (in Mare nero, p. 52), sempre pronta a “varcare soglie nuove” (p. 95).

Si attrezza alla vita perché “si protegge dal sole, ma non ha nascondigli” (p. 65), perché si lega forte all’albero maestro (p. 76) ed è strega senza età (p. 97); ha armi buone ad affrontare le tempeste burrascose: “l’inchiostro nel ventre della seppia”, anche quando capita di calpestare il bacio della serpe (p. 69), a volte reprimendo gli istinti, sotto forma di “mute cicatrici sottopelle” (p. 81).

C’è un asse sud/nord-nord/sud nella sua esistenza, che la costringe ogni volta a fare i conti con il tempo che passa e con se stessa: “vado al capo scendo al sud”, qui dov’è il tempo fermo dell’infanzia, dei ricordi sublimati in aulica perfezione (ricordiamo che per l’autrice l’amore è imperfetto, probabilmente perché non riesce a toccare le vette della felicità infantile, dove tutto è rivestito della coltre d’oro del tempo che non invecchia), e il luogo d’origine è più volte affettuosamente chiamato “bosco delle fiabe”. In alcune poesie è la stessa poetessa che si guarda compiere rituali viaggi verso un Sud sempre costante, in cui morire per poi rinascere.

Una talea di rosa (nome che sarà di lì a poco declinato in un’aula di Barga, nella reale immaginazione dei versi) viaggia in direzione nord, come fragile traccia di un’arcadia felice che affonda nelle “Nuvole” di Aristofane e nel “De Rerum Natura” di Lucrezio il suo topos mitologico e letterario.

Lo stato di lacerazione di una partenza definitiva crea sofferenza, dicotomia, senso di estraneazione, crisi d’identità (situazione esistenziale approfondita e poi cantata con grande maestria anche dal poeta campano Federico Preziosi) tanto da creare l’efficace quanto struggente immagine di “anfora sbreccata” (p. 59).

Limpidi i versi che raccontano vita, sogni, crisi, preoccupazioni, dolori (ben nascosti) e speranze, con equilibrio e ricerca, tanto da creare nel lettore un processo di identificazione, con gli stessi meccanismi del filone narrativo. Dunque una poesia che si fa biografia narrata, in cui ritrovarsi, tratteggiata con la leggerezza di un acquerello.

Molti i calembour presenti (nido nodo dono, incanto inciampo, gioco giogo, vinti avvinti), che definiscono i tratti di una personale ironia che si ritrova in perfetta connessione con lo sguardo traverso e leggero dell’autrice, attualmente residente a Barga, luogo che non può non richiamarci alla mente “L’ora di Barga”, la bellissima poesia del grande decadentista di San Mauro di Romagna. Se questi i luoghi d’ispirazione di Doris Bellomusto, le auguriamo di attingerne a piene mani per donarci tante altre belle pagine da gustare come questa “A corpo libero”.

 

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