Poesia di Marina Cvetaeva

di Barbara Gortan

 

Il tavolo

I

Fedele mio tavolo di scrittura!

Grazie per essere andato

con me per tutte le strade.

Per avermi difeso – come una cicatrice.

 

Mio mulo da soma e da scrittura!

Grazie per non aver piegato le zampe

sotto il carico, il fardello delle lacrime –

grazie per aver portato e portato.

 

Severissimo specchio di giustizia!

Grazie per questo, che ti sei messo

(alle tentazioni del mondo argine)

di traverso a tutte le gioie,

 

a tutte le bassezze – diniego!

Contrappeso di quercia

al leone dell’odio, all’elefante

dell’offesa – a tutto, a tutto.

 

Mio legno da vivo-mortale!

Grazie per questo, che sei venuto crescendo

con me, a misura dei lavori

da tavolino – ti sei ingrandito, dilatato,

a tal punto esteso – per larghezze

tali, che, spalancata la bocca,

afferratami al bordo del tavolo…

mi allagavo come una spiaggia!

 

Inchiodatami a te con la prima luce –

grazie per questo, che dietro di me

ti scatenavi! Su tutti i percorsi

mi raggiungevi, come uno scià –

 

La fuggitiva.

– «Indietro, alla sedia!»

Grazie per questo, che tutelavi

e costringevi. Ai non eterni beni

mi strappavi, come un mago –

la sonnambula.

 

Tavolo mio che le cicatrici

delle battaglie hai allineato in colonne

brucianti: purpureo delle vene!

Delle mie imprese colonna!

Colonna dello Stilita, otturatore delle labbra –

tu per me eri – trono, spazio –

colui per me sei stato che per il mare di folle

ebraiche fu l’ardente pilastro!

 

Sia dunque tu benedetto –

dalla fronte, dal gomito, dalla curva dei ginocchi

sperimentato – orlo del tavolo

come una sega penetrato nel petto!

 

II

Trentesimo anniversario

d’una unione – più sicura dell’amore.

Io le tue rughe conosco

come anche tu – le mie.

 

Delle quali – non sei tu – l’amore?

Tu che quinterno su quinterno hai divorato,

e hai insegnato che non c’è – un domani,

che solamente l’oggi – esiste.

 

E i soldi e le lettere della posta,

tavolo, hai gettato nella corrente!

E ripetevi che d’ogni riga

l’oggi – è l’ultimo termine.

 

Che minacciavi che col conto dei cucchiai

non si rende merito al Creatore,

che domani mi deporranno –

stupida che sono – sopra di te!

 

III

Fedele mio tavolo di scrittura!

Grazie per questo, che il tronco

avendomi dato per diventare – tavolo,

sei tuttavia rimasto – vivo tronco!

 

Con il giovane gioco del fogliame

sul sopracciglio, con la viva corteccia,

con le lacrime di resina viva,

con radici sino in fondo alla terra!

 

IV

Siamo pari: io da voi divorata,

voi da me – dipinti al vivo.

Ma voi sarete deposti – sul tavolo da pranzo,

io – sulla scrivania.

 

Per il fatto che, di una jota felice,

non mi curavo delle altrui pietanze,

per il fatto che troppo spesso voi,

voi troppo a lungo pranzavate…

 

Voi. Con i rutti, io – con i libri,

con il tartufo, io – con il lapis,

coi – con le olive, io – con le rime,

con i sottaceti, io – con i dattili.

 

Nelle teste – mortali catene –

asparagi di gambo grosso.

Una tovaglia a strisce

da dessert – sia la vostra strada!

 

Sbuffiamo tabacco dell’Avana

alla vostra destra – e a sinistra.

Una tovaglia olandese di tela

sia per voi – il sudario!…

 

Come un cappone invece di una colomba

invòlati – anima – durante l’autopsia!

Me nuda invece mi deporranno:

due ali come copertura.

 

(da Poesie, Feltrinelli 2014)

 

(In copertina: Fotografia di Gregory Crewdson [particolare])

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