Le Regioni e l’autonomia differenziata

di Sandro Marano

 

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2024, n. 86 è diventata legge l’autonomia differenziata.  Contro questa legge, com’è noto, sono state raccolte le firme per indire un referendum abrogativo.

Senza entrare nel merito delle ragioni a favore o contro l’autonomia differenziata credo che sia utile fornire alcune delucidazioni.

L’attuale provvedimento sull’autonomia differenziata, o regionalismo differenziato che dir si voglia, non è un fulmine a ciel sereno. La  riforma del titolo V della Costituzione fatta dal governo Amato (centrosinistra) nel 2001 è, volenti o nolenti, la premessa necessaria dell’attuale provvedimento sull’autonomia differenziata.

Innanzitutto il provvedimento fa seguito ad un’ampia discussione sull’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che si svolse a partire dal 2017 dopo le richieste fatte da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna di legiferare su varie materie che comprendevano tra l’altro la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela della salute, l’istruzione e i rapporti internazionali e con l’Unione europea. Successivamente altre Regioni (Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania) si accodarono chiedendo analoghe forme di autonomia.

Per approfondire le questioni legate all’attuazione del regionalismo differenziato, previsto dalla riforma del titolo V della Costituzione, si svolsero tra marzo 2019 e marzo 2021 presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali svariate audizioni. In ogni caso, fino all’attuale legge, l’autonomia differenziata, di cui all’articolo 116 della Costituzione, non aveva trovato completa attuazione.

Ma che cosa dice l’articolo 116, terzo comma, della Costituzione? Esso prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma).

In particolare, le materie nelle quali le Regioni a statuto ordinario possono esercitare forme di maggiore e marcata autonomia sono tutte quelle che l’articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, oltre un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Tra queste ci sono l’organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull’istruzione e sulla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Con la legge sull’autonomia le Regioni a statuto ordinario potranno quindi esigere dallo Stato maggiori poteri e una autonomia su 23 materie (le 17 relative alla legislazione concorrente oltre alle 5 ora attribuite alla competenza esclusiva dello Stato).

Il rischio, non puramente teorico di questa impostazione e frutto, ripetiamolo, della riforma del titolo V, è che ci siano in una nazione ben venti legislazioni su una vasta gamma di materie che potrebbero anche entrare in conflitto con la legislazione statale e formare oggetto di contenzioso tra Stato e Regioni, come si è potuto ripetutamente constatare durante il periodo del covid.

Consapevoli di questa possibilità, onde evitare sperequazioni, per buona parte delle materie oggetto del regionalismo differenziato si dovranno (il verbo, ahinoi, è al futuro!) stabilire i livelli essenziali di prestazione che lo Stato deve garantire su tutto il territorio nazionale (i cosiddetti LEP) prima di procedere alla firma di un accordo diretto sulle materie da delegare alle Regioni.

C’è da dire anche che l’attuale e oltremodo corposo articolo 117 della Costituzione italiana, che regola la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, ha ribaltato lo spirito originario del testo costituzionale: non si trovano più le competenze esclusive delle Regioni, come  nell’originaria formulazione, ma quelle dello Stato. In altri termini si ampliano a dismisura i poteri delle Regioni anche su materie che mal si prestano ad una legislazione concorrente tra Stato e Regioni, come la tutela dell’ambiente e la sanità, che sono state e sono fonte di notevoli conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni.

Ho premesso che non entrerò nel merito delle ragioni a favore o contro il referendum. Per il lettore curioso rimando al mio articolo del 7 aprile 2023 su Interzona news intitolato “Paesaggio, consumo del suolo e politica” in cui esprimo la mia posizione contraria tout court al regionalismo.

Mi limito in questa sede ad un’ultima osservazione. L’eventuale (e prevedibile) vittoria del sì al referendum porterà con sé un paradosso: si chiederà in buona sostanza di non attuare gli articoli 116 e 117 della Costituzione. E, paradosso nel paradosso, a richiedere questo sono le stesse forze politiche autrici della riforma del titolo V fatta nel 2001!

 

 

 

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