Intervistiamo: padre Ibrahim Faltas (apostolo del dialogo e testimone di pace).

di Mario Nanni

 

Padre Ibrahim (Il vicario della custodia della Terra Santa) è passato un anno dal tragico 7 ottobre, con il proditorio attacco di Hamas a Israele. Se l’aspettava che la guerra continuasse per tanto tempo e continui ancora?

Il tragico attacco del 7 ottobre ha sicuramente innescato la spirale di violenza della guerra che avvolge la Terra Santa da più di un anno. I fragili equilibri precedenti sono precipitati in una tragedia di morte, sofferenza, distruzione. Dai primi giorni seguenti il 7 ottobre i numeri di morti e feriti, la distruzione di case, ospedali, scuole, chiese e moschee sono saliti in modo vertiginoso e a distanza di un anno non si fermano. Mai avrei pensato che la guerra potesse allungarsi così tanto nel tempo, ma mi preoccupa maggiormente l’allargarsi del conflitto da sud a nord, coinvolgendo una vasta area di questa regione.

 

Qual è, vista dal suo punto di osservazione, la situazione attuale, così come la vive la popolazione?

Sono molto preoccupato per le conseguenze della guerra sulla popolazione della Terra Santa. Vivo in questa terra benedetta da 35 anni, sono Vicario della Custodia di Terra Santa che custodisce i Luoghi Santi e le Pietre Vive che li abitano. In tanti anni di missione e di servizio ho visto e vissuto lunghi periodi di tensioni e di conflitti, due intifada, le conseguenze delle guerre della regione, l’assedio della Basilica della Natività a Betlemme e ho visto le persone affrontare sofferenza e difficoltà con la speranza negli occhi e nel cuore. Da un anno questa speranza si sta affievolendo perché non si vede un futuro per i giovani, non si vede una soluzione pacifica ad una situazione difficile da vivere perché vissuta da troppi anni. Preghiamo perché la speranza non manchi a queste persone che hanno già sofferto tanto!

 

Lei, padre Ibrahim, è attualmente il Vicario della Custodia di Terra Santa e ha vissuto in prima persona, nel 2002, i 39 giorni dell’assedio della Basilica della Natività di Betlemme, un luogo sacro e comunque evocativo anche per i non credenti. Ma questo luogo viene sempre rispettato o ha subito attacchi e pericoli?

La Basilica della Natività, le comunità religiose e gli abitanti di Betlemme hanno vissuto nel 2002 l’esperienza dolorosa dell’assedio. La Basilica della Natività è il Luogo Sacro che principalmente ricorda all’umanità che “tutti qui siamo nati” come dice il Salmo. Durante quei 39 giorni ho sperimentato l’amore di Dio e degli uomini per questo Luogo che ha accolto la nascita di Gesù, Principe della Pace. Fu necessaria la mia mediazione, fra coloro che si erano rifugiati in Basilica e l’esercito israeliano all’esterno, per evitare tante morti e per evitare che il Luogo Sacro potesse essere scenario di violenza. Giovanni Paolo II mi incoraggiò in una telefonata che arrivò in un momento cruciale delle trattative. Come ora sta facendo Papa Francesco con i continui appelli per la pace: la vicinanza del Santo Padre ci infonde coraggio per continuare a camminare sulla strada della Pace.

 

Com’è scandita, ci faccia qualche esempio, la vita quotidiana a Betlemme?

La vita in Terra Santa purtroppo viene scandita dai tempi e dai momenti della guerra ora e da una situazione complessa da sempre. Inoltre a Betlemme a causa della guerra mancano i pellegrini e quindi manca il lavoro, soprattutto per i cristiani locali.  Se a Gaza chi è sopravvissuto muore di fame e di sete, a Betlemme, a Gerusalemme e in Cisgiordania si avvertono i disagi e le difficoltà della povertà. Sono anche Direttore delle Scuole della Custodia di Terra Santa. I bambini e i giovani sono al centro del nostro impegno. Se le condizioni lo permettono, le nostre scuole sono aperte sia come luogo di crescita e di sviluppo, sia come luogo di confronto e di condivisione perché curiamo particolarmente una educazione alla pace possibile.

La guerra ha peraltro reso pericolose le visite dei turisti, facendo venir meno risorse per la popolazione.

Infatti è questo uno dei problemi più evidenti per la popolazione della Terra Santa. Prima di questa ulteriore tragedia, la Terra Santa aveva patito la mancanza di pellegrini a causa della pandemia. Soprattutto a Betlemme, ma anche a Gerusalemme, i cristiani locali lavorano nell’ambito del turismo che impegna lavoratori negli alberghi, nei ristoranti, nei trasporti, nell’artigianato e in tante altre attività necessarie a questa importante fonte di reddito per le famiglie. Manca il lavoro e manca la possibilità di pensare al futuro dei propri figli. Sono cause che spingono tante famiglie a lasciare la Terra Santa e a raggiungere paesi lontani e più sicuri. La missione della Custodia di Terra Santa cerca di sostenere queste famiglie: offriamo lavoro, istruzione, alloggi, supporto a tante necessità urgenti che stanno diventando sempre più numerose. Abbiamo avuto e abbiamo affrontato tante difficoltà nel passato, con la guerra che avvolge la Terra Santa da più di un anno è ancora più complesso aiutare e sostenere.

 

Lei è un apostolo del dialogo, e questa è stata anche la motivazione di un riconoscimento internazionale, il Premio Mozia, che ho avuto l’onore di consegnarle di persona a settembre. Ma che cosa rende difficile il dialogo oggi? Lei ne ha scritto in un bell’articolo pubblicato di recente sull’Osservatore Romano.

Da 35 anni lavoro per il dialogo e per la pace. Spesso intervengo a incontri e a dibattiti per cercare soluzioni ad una situazione difficile che dura da troppi anni. Ho sempre fatto appello alla comunità internazionale e ai suoi organismi perché siano responsabili nella soluzione dei conflitti. Da anni sento solo parole che non vedo tradotte in fatti concreti e risolutori. La violenza, l’odio e la vendetta si sono impadroniti di questa importante regione del Medio Oriente. Chi non cerca e non trova soluzioni di pace, pur avendo strumenti e leggi internazionali da mettere in campo? I potenti del mondo hanno interessi in molti settori e non sentono la responsabilità di tante morti e di tanta distruzione dell’umanità? Sono domande a cui non stiamo avendo risposte. Qualcuno dovrà rispondere dello scandalo della guerra.

 

Non le chiedo di dirmi se è ottimista o pessimista. Tuttavia le domando: vede qualche spiraglio per una possibile pace? Qualche finestra che si apre sull’avvenire?

Credo negli uomini di buona volontà, nonostante lo scenario attuale non mi faccia intravedere soluzioni immediate. Penso che per lavorare per la pace, bisogna avere testa, cuore e coraggio. Papa Francesco ci esorta continuamente e noi, che viviamo in questa terra, sentiamo la sua sofferenza che è la stessa sofferenza di tutta la Terra Santa. Un altro grande Papa, San Giovanni Paolo II, ripeteva spesso che non ci sarà pace nel mondo fino a quando non ci sarà pace a Gerusalemme. Ne sono convinto e confido molto nella responsabilità di chi può fermare la guerra. La speranza è che le menti dei governanti siano illuminate da saggezza e da consapevolezza per far terminare le sofferenze di una umanità ferita da tanta, troppa violenza.

 

Di recente ha incontrato a Parigi Emmanuel MacronCon il presidente francese ha parlato anche della situazione in Terra Santa?

L’incontro con il presidente Macron è stato un incontro intenso e molto significativo. Ha espresso opinioni ferme e decise per soluzioni pacifiche ad una situazione che coinvolge il mondo. Abbiamo parlato a lungo della Terra Santa, dei contesti di guerra che la avvolgono da sud a nord, della possibilità di arrivare ad una pace duratura. Spero che questo suo pragmatismo possa essere condiviso presto da altri governanti. Spero anche che il desiderio di pace sia contagioso e che siano sconfitte la violenza e l’odio che causano le guerre.

(Padre Ibrahim Faltas con il presidente francese Emmanuel Macron)

 

Circa ottocento anni fa San Francesco incontrò il Sultano, che lo ricevette come uomo armato solo della sua fede. Ottocento anni dopo Papa Francesco ha avuto un incontro simile. Purtroppo la voce delle armi e della guerra è sempre troppo alta. Ma vale ancora sperare, spes contra spem?

Papa Francesco incontrò ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 il Grande Imam di Al-Azhar e insieme firmarono il “Documento della fratellanza umana”. Papa Francesco e Al-Azhar chiedevano a tutti gli uomini di fede di sentirsi fratelli e di lavorare insieme per la pace giusta, per garantire i diritti umani essenziali e il reciproco rispetto per la libertà religiosa. Ero presente a quell’incontro. Fu un incontro fraterno, denso di speranza e di volontà di pace. Il Papa soffre, prega e invita alla pace. Seguendo gli insegnamenti e gli esempi del Francesco di ieri e del Francesco di oggi, due uomini di pace, dobbiamo continuare ad essere testimoni di pace e a perseverare in azioni di pace perché la speranza non venga meno. La vera pace è ancora possibile.

(In copertina: Gerusalemme)

[Intervista già apparsa su “Bee Magazine” del 10 ottobre 2024)

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