I templari e la Puglia

di Sandro Marano

 

La vicenda dei cavalieri templari in Puglia costituisce una delle pagine di storia poco conosciute dal grande pubblico. L’ordine del Tempio, com’è noto, fu fondato in Francia tra il 1117 e il 1118, con lo scopo di difendere la Terra Santa e la fede cristiana, dal francese Ugo Pagani, discendente secondo alcuni da una nobile famiglia napoletana. L’Ordine presentava insieme caratteri militari e religiosi, tanto da essere esaltato da San Bernardo di Chiaravalle che nel trattato De laude novae militiae giustificava la santità della guerra combattuta dai cristiani contro gl’infedeli.

Le crociate diedero all’Ordine la possibilità di estendere gradatamente le proprie attività commerciali. Ben presto i templari, arricchiti da lasciti e donazioni e protetti dai re normanni e dai pontefici, poterono stabilirsi in Sicilia e in Puglia. A Barletta, Trani, Molfetta, Monopoli e Brindisi sorsero in poco tempo case del Tempio, dove affluivano carovane di pellegrini e di crociati che si imbarcavano alla volta della Palestina. Ovviamente in questi centri ferveva una lucrosa attività commerciale. Da una cronaca del tempo apprendiamo ad esempio che i templari allestirono la spedizione di circa trenta navi che nel marzo del 1197 salparono dai porti pugliesi diretti in Siria.

I pontefici, fiutando l’aiuto che l’ordine poteva fornirgli, facevano a gara nel concedere loro tutta una serie di favori temporali e spirituali. Alcune bolle papali ad esempio esentavano da tasse i beni dei templari e accordavano il privilegio della sepoltura nelle chiese e nei chiostri da loro tenuti a chiunque avesse fatto loro delle elargizioni. E ben si comprende come il desiderio di essere sepolti in un luogo sacro, ben custodito e ricolmo di benefici spirituali, inducesse i ricchi signori e i commercianti più facoltosi a disporre legati e e donazioni a favore dell’Ordine. In un breve volgere di tempo i templari si trovarono a possedere e gestire un gran numero di poderi e di case in tutte le provincie del Regno di Sicilia. Perfino il giovane Federico II tenne in considerazione l’Ordine accordandogli favori e privilegi. Lo stesso Castel Del Monte la cui costruzione fu progettata da Federico II, secondo la tesi dello studioso barese Aldo Tavolaro, non è propriamente un castello (per la caccia o la difesa), avendo invece tutte le caratteristiche esoteriche di un tempio per l’iniziazione dei cavalieri templari.

Di lì a poco il grande contrasto tra papato e impero per la supremazia sfociò in guerra aperta e i templari si schierarono senza esitare a fianco del pontefice. Federico II non ci pensò due volte e ordinò la confisca di gran parte dei loro beni in tutto il Regno. Ciò nonostante i templari non mutarono atteggiamento. Sicché, dopo la sconfitta degli Svevi, per ricompensarli della loro fedeltà, il papa e Carlo I d’Angiò restituirono ai templari i loro possedimenti.

Tuttavia i loro beni vasti e numerosi dovettero ben presto attirare l’attenzione di coloro che con nobili e belle parole ne esaltavano il valore e la fedeltà. Sul finire del XIII secolo sotto il gran maestro Giacomo de Molay l’ordine aveva raggiunto il massimo grado di potenza e di prosperità. I templari avevano accumulato smisurate ricchezze, cospicui capitali, e numerosi beni immobili tanto da farne la più grande potenza finanziaria del tempo. Sulla loro ricchezza si appuntarono gli avidi sguardi di Roberto d’Angiò e del re di Francia Filippo il Bello, esausti ed indebitati per le guerre combattute, che si adoprarono in vario modo per mettere le mani sui beni dei templari, incolpandoli di eresia e corruzione.

Il 13 ottobre del 1307 Filippo il Bello ordinò che tutti i cavalieri templari che si trovavano sul suolo di Francia venissero arrestati e consegnati all’inquisizione. Non da meno fu Roberto d’Angiò, il quale dispose che i cavalieri che dimoravano o mettevano piede in Puglia  fossero senz’altro arrestati e rinchiusi nella fortezza di Barletta. Naturalmente tutti i beni di proprietà dei templari furono messi sotto sequestro e amministrati da funzionari regi.

I templari rinchiusi nella fortezza di Barletta in attesa del processo non ebbero nemmeno quei trattamenti che sarebbero loro spettati in quanto prigionieri d’altro rango. Ed inutilmente ricorsero, come attestato da vari documenti, alla Corte di Napoli nella speranza di essere ascoltati sui maltrattamenti ricevuti dai custodi e sulle privazioni cui venivano sottoposti.

Il processo contro di loro ebbe luogo a Brindisi ed iniziò il 13 maggio 1310 nell’ampia chiesa di Santa Maria del Casale dove intervennero Bartolomeo, arcivescovo della città, il canonico Jacopo di Carapelle e due inviati del pontefice. A loro carico furono formulate gravissime accuse di eresia, idolatria e immoralità. Furono peraltro accusati di aver rinnegato la divinità di Cristo, di aver dubitato dei santi, di aver sputato e calpestato la croce, di essersi uniti carnalmente tra di loro e perfino di aver adorato un gatto.

Il processo si svolse in modo farsesco. Ai cavalieri che non avevano fatto in tempo a prendere il largo non fu data alcuna possibilità di difendersi. Le conclusioni inoltre furono tratte sulla base delle deposizioni di due templari, i quali piegati dalle torture e dai lunghi giorni di prigionia, confermarono in parte le accuse loro rivolte. La sorte ultima dei cavalieri templari nel regno di Sicilia è poco nota, stante la scarsità delle fonti. Alcuni di loro tornarono a vita secolare, altri rimasero imprigionati a lungo. È noto comunque che la maggior parte dei processi celebrati in Italia si conclusero a differenza di quelli celebrati in Francia con delle assoluzioni. Processi più o meno simili a quelli celebrati a Brindisi, ma con esiti assai più infausti, si ebbero in tutto il resto dell’Europa cristiana.

L’ordine del tempio aveva ormai i giorni contati. Nel 1312 Clemente V, cedendo alle pressioni del re di Francia, Filippo il Bello, decretò lo scioglimento definitivo dell’Ordine templare.

 

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