L’isola di Gary – Alberi dentro di noi

di Sandro Marano

 

«L’albero è sacro perché è una manifestazione del divino. Nelle religioni  infatti l’albero ha una funzione sacra e simbolica: è ponte tra la terra (le radici) e il cielo (la chioma), tra l’umano e il divino. Nella tradizione giudaico-cristiana l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male indicano rispettivamente la solidarietà tra tutte le creature e i limiti che non possono essere impunemente varcati. Sotto un fico Buddha ebbe l’illuminazione. Il frassino era l’asse che garantiva l’ordine cosmico presso gli antichi Germani.

Col termine lucus o nemus i latini indicavano i boschi sacri dedicati ad una divinità, che non potevano essere profanati dalla mano dell’uomo. Come ci ricorda Ezra Pound, il tempio è sacro perché non è in vendita. La Roma imperiale conservava al suo interno parti delle antiche selve che ricoprivano i sette colli prima della sua fondazione. I boschi sacri erano presenti non solo nelle religioni europee (celtica, germanica, greca, romana, ecc.) ma anche in India e in Giappone.

Nella mitologia greca la quercia è consacrata a Zeus, la vite a Dioniso, l’ulivo ad Atena, il mirto ad Afrodite. Dell’alloro ci parla Ovidio, attraverso il mito di Dafne e di Apollo, nel libro primo delle Metamorfosi. Per un crudele destino l’amore che infiamma il dio del sole per la bella Dafne resta inappagato, ma nel momento in cui Dafne si trasforma in alloro Apollo le dice: «Poiché non puoi essere mia sposa, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra, sulla mia faretra» (vv. 556-559). Ed allora con un tocco di sublime poesia, quasi cedendo a quest’ultima invocazione del dio, Ovidio ci dice che «l’alloro annuì con i rami appena formati, e agitò la cima, quasi assentisse col capo» (vv.566-567).

La sacralità dell’ulivo, simbolo della civiltà mediterranea insieme alla vite e al grano, è colta magistralmente da Gabriele D’Annunzio nell’Alcyone. Ne La sera fiesolana, il poeta descrive «la pioggia che bruiva tepida e fuggitiva» «su gli olivi, su i fratelli olivi che fan di santità pallidi i clivi». E ne L’ulivo scrive: «Chiaro, leggero è l’arbore nell’aria. / E perché l’imo cor la sua bellezza / ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo, / non sa l’ulivo» (vv. 5-8).

La civiltà contadina nel suo insieme era consapevole che gli alberi sono esseri viventi che donano la vita. Non solo biologica, ma anche spirituale. […]

Gli alberi sono, a tutti gli effetti, custodi e sentinelle della vita sulla Terra. Questa verità purtroppo è ignorata dalla nostra civiltà industriale. […]

Distruggere i boschi, i giardini, gli alberi secolari, il patrimonio forestale, ciò che i nostri avi ci hanno lasciato, incendiare i boschi per vandalismo, protesta o inconfessati interessi economici, vuol dire non solo cancellare l’identità di un popolo e di un territorio, ma anche commettere un crimine contro la vita.

E risuona più che mai attuale, angoscioso per tutti noi, l’interrogativo di Maurice Bardèche: “Chi è che vincerà tra la natura ed i fabbricanti?”».

 

 

 

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