Frammenti d’ambra al novilunio di Piero Fabris, Les Flâneurs Edizioni, 2021

di Maria Pia Latorre

Data alle stampe nel luglio 2021, per Le Flâneurs Edizioni, Frammenti d’ambra al novilunio, ultima fatica poetica di Piero Fabris. L’autore, artista a tutto tondo, è pittore, oltre che scrittore e poeta. Ha all’attivo numerose pubblicazioni, muovendosi dal saggio al racconto alla fiaba alla poesia. Tra le sue opere ricordiamo Gessetti per tratti incerti (1990), Tasselli in macchia arsa e sfumature di contrasto (2016), Fiabe in sassi e salsedine ovvero il Tavoliere di fiabe e cicorie (2017), Chiara Samugheo. Un’amazzone della fotografia (2017), il testo teatrale  Rosa Hrand…agio (2018) e il recente romanzo La compagnia del melograno (2021). È importante partire dai dati bio-bibliografici per accostarsi alla poesia di Fabris, per come essa appare avvolta da un alone di mistica quiete che ne dilata il tempo, cosicché il lettore è indotto ad accostarsi ai versi svuotandosi dalle inutili sovrastrutture e preparando l’anima attraverso una simbolica abluzione.

L’acqua, di fatti, è uno degli elementi portanti nella poesia dell’autore belga, che ben conosce la simbologia ritualistica che gravita intorno all’elemento primario, simbologia condivisa da tutte le religioni poiché possiamo considerare la realtà acquea un a-priori rispetto alla stessa umanità. Nelle antiche religioni l’acqua era origine di vita, somma di tutte le virtualità, atto di purificazione, di morte e rinascita, vivificazione delle potenzialità e anche  in filosofia presto essa ha assunto il carattere dell’archè, del principio fondativo della creazione, da Talete ad Anassimandro ad  Anassimene (anche se per questi ultimi due con diverse e specifiche elaborazioni di pensiero).

Da ‘Brezza’ a ‘Lava interiore’ ad ‘Acquario’ a ‘Gozzo’ a ‘Bisbigli’ passando per ‘Saline’,Frangiflutti’,Rete di mare’  e ‘Tuoni sul mare’ è un continuo interrogare l’acqua, vivendola come riferimento primario e materia di continuo confronto e dialogo. Fabris si pone così in ascetico ascolto, attendendo con sicura fiducia le risposte-chiave dell’esistenza, ma per l’autore esistere coincide con creare, passando dunque continuamente da creazioni figurative (immaginifici e visionari i suoi quadri) alla parola (ricordiamo che la traccia greca di poiesis è ‘fare’, ‘costruire’), e che diviene naturalmente, nella sua penna, parola poetica.

Se l’acqua è un elemento importante, sicuramente l’elemento “naturale” di Fabris è l’aria, poiché è portatrice dei valori fondativi dell’autore. Una lirica che appare di snodo nel tentare di dipanare la tensione tra i due elementi è la lirica ‘Brezze marine in notturno di luna’, che riporto sia per gustarne la bellezza, che per meglio addentrarci nell’opera dell’artista barese. “La sete abita le labbra/ arse e bisognose di urlare in verbi/ chiari del bello in frantumi,/ sacro e intimo, sotto lumi di fiocchi raggi/ nel refrigerio dell’imbrunire./ Quando la notte si prepara ad accogliere/ il sogno in golette di astri./ Libravi, libera immaginazione, tra le dune salate,/ le tue ciocche ondeggiavano smaniose nell’attesa fremente,/ gestazione creativa nel principio dei giorni/ ridendo e piangendo, confusa tra palpiti e sospiri,/ tra le pieghe del lino fresco, appena colto e gli arbusti/ dorati/ tra le falde di sabbia e salsedine/  nascondevi l’arsura,/ la delusione nel sorriso/ la trasparenza si infrange sugli scogli.”   L’invocazione con cui inizia la lirica è quella di un assetato di parole, che vede sgretolarsi il Bello davanti a sé e si strugge. La poesia, dalla forte impronta onirica e figurativa (cifra dell’autore questa), crea in pochi tratti-pennellate atmosfere esotiche intense e suggestive e ci fa quasi visualizzare la sua sagoma, all’imbrunire, di fronte ad uno specchio d’acqua, teso nel desiderio di sollevarsi su golette di stelle. Chissà se qui il poeta è solo o è in compagnia, chissà se parla con se stesso o con qualcun altro; certo si avverte forte il fremito gestativo della genialità che vuole esprimersi a tutti i costi e che vuol tendere verso il suo naturale elemento: le altezze celesti.

Ma cosa immagina il Nostro nella dimensione verticale? Qual è il suo rapporto con lo spazio metafisico? Senza dubbio possiamo definire la poesia di Fabris poesia cosmica, nel senso che, partendo da un silenzio interiore di fondo, essa è continuamente impegnata a scrutare il cielo in una tensione verticale che si epura e si libera degli inutili orpelli e gravami, via via che sale verso le vette più alte: “nuda è l’anima/ la coscienza ramo vecchio bruciato”, fino a perdersi nello spazio più denso, latore di ‘miraggi celestiali’ e di ‘silenzio eterno’.

In questi spazi ambiti e sognati si dispiega la valorialità dell’artista, fatta di splendore e contemplazione, “di consapevolezza luminosa/ dove lunghezza, profondità e altezza dell’emozione/ accolgono l’attimo fecondo”.

In quarta di copertina, a maggior chiarimento, leggiamo: «Il poeta è un solitario chiuso nella sua piccola stanza di parole essenziali. Incolonna i termini, li setaccia e scopre nella sua bisaccia consunta la povertà dell’essere, le difficoltà dell’autenticità nel vortice delle stagioni, ma raccolto nel mantello e nell’ascolto di un attimo di silenzio coglie magicamente il punto fermo, invisibile e potente dal quale tutto è: il mondo e le sue sfere».

Anche quando le liriche partono da stringente realtà, come ne ‘I grani odorosi’, dove echeggiano gli affreschi dei paesaggi della campagna pugliese, o in ‘Vespro’, puntuale  amena descrizione di un paese arroccato su una collina, sempre i versi , da una dimensione orizzontale, prendono il volo verso mete verticali.

Altro tema fondamentale è la ricerca della sincerità dei rapporti umani contro le apparenze, le falsità, i giochi di potere, e anche qui l’uomo rimane costantemente fedele alla sua ricognizione, sia che si tratti di versi che di immagini figurative che di narrazioni; massima coerenza, dunque, nella ricerca del vero-bello-buono da parte dell’artista.

Interessante il percorso formativo di Fabris, che rinviene in Arturo Onofri un punto di riferimento, nel panorama poetico italiano; “nelle sue costellazioni ho ritrovato sentieri luminosi, affinità con il mio animo”, egli  afferma.

Opera matura  Frammenti d’ambra al novilunio, con un uso sapiente e colto della parola, un linguaggio fortemente metaforico, il gusto del nominalismo come atto preciso di funzione referenziale, l’uso ampio delle figure retoriche; moltissime le iperboli, poi sopratutto anastrofe (in ‘Riflessi’), eponimi (in ‘Specchi concavi’, ‘Piramide’ e ‘Astro d’Oriente’), anafore (in ‘Trovatore’), polisindeti,(in ‘Riflessi’ e ‘Trovatore’), e ancora metonimie e parallelismi. Si osserva anche un sapiente uso del climax, ottenendo, in tal modo, effetti d’intensità progressiva, ed ancora qui è il pittore che emerge con le sue tavolozze di suggestiva intensità. Ai versi viene affidato ‘il soffio muto del venticello’ e ‘l’impeto dell’onda tra i gabbiano’, una lettura che lascia dentro una grande carica d’emozione e sospensione.

Di estremo interesse l’ultima sezione della raccolta, contenente alcuni articoli pubblicati dall’autore, che rappresentano una sorta di personale manifesto poetico. Sarà senz’altro di ausilio leggerne alcuni stralci: «Si confonde la poesia come uno sfogo. È invece un’arte che merita rispetto… la sintesi migliore che unisce il profondo all’immenso. […] L’opera dell’Artista può non essere elegante, ma sempre deve essere intensa, in qualche modo incandescente, per suscitare, almeno per un breve attimo una vibrazione». Per stessa dichiarazione non si richiede alla poesia perfezione stilistica (poiché ben altra è la perfezione per l’autore), ma intensità, una vis propria capace di creare contatto emozionale non con un anonimo lettore, bensì con l’umanità tutta.

 

 

 

 

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