Una donna alla finestra di Pierre Drieu La Rochelle, Mattioli 1885 editore
di Sandro MaranoUna donna alla finestra è il terzo romanzo di Pierre Drieu La Rochelle. Pubblicato all’inizio del 1930, la sua stesura era stata già preannunciata dallo scrittore l’anno prima in alcune lettere indirizzate alla sua amante Victoria Ocampo, facoltosa aristocratica argentina, letterata e promotrice culturale, di idee di sinistra, conosciuta il 7 febbraio 1929. Tra aprile e maggio del 1929, Drieu aveva fatto un viaggio in Grecia. Su questo viaggio vale la pena segnalare un gustoso aneddoto: quando lo scrittore francese si recò in Grecia aveva dimenticato di munirsi del visto sul passaporto ed era stato sospettato di essere un bolscevico. Questa disavventura insieme al paesaggio della Grecia classica e alla decadenza di quella moderna hanno lasciato una considerevole traccia nel romanzo. Tra l’altro uno dei personaggi principali è un rivoluzionario comunista, Michel Boutros.
Il romanzo è una storia d’amore, ma anche una meditazione sulla vita, sul tempo che scorre, sulla bellezza e sull’importanza dei miti per gli uomini. Piano fisico e piano metafisico si incrociano di continuo: «In Grecia, la terra si dischiude senza posa sull’acqua e l’acqua è sempre presa dalla terra (…). Ben presto per l’occhio impegnato in una visione più sottile non ci sono più né mare né cielo, ma un’unica luce (…) È in questa maniera che è stata fatta la gioia di vivere e di pensare di molti uomini».
Accanto alla Grecia eterna, adombrata dai miti, con le sue cosmogonie ed epopee, accanto alle montagne sulle cui sommità si innalzano i pini e ai cui piedi si accalcano gli ulivi, c’è anche una Grecia decaduta, corrotta dalla modernità: «Questa terra è spezzata. È una rovina, così come le opere dell’uomo di cui reca ancora qualche traccia come il frammento di una collana strappata. Queste montagne sono state depredate, scorticate fino all’osso (…) questa terra è stata attraversata per poche ore da una civiltà che l’ha lasciata inerte, svuotata per sempre».
La trama si dipana tra un’Atene, grande metropoli mediterranea, già allora cosmopolita e crocevia di affari e di intrighi, e una Grecia rurale, dalla natura ancora intatta e costeggiata di rovine. Su questo sfondo si muovono i quattro protagonisti principali del romanzo, tratteggiati da Drieu con mano felice e leggera: la marchesa Margot Santorini, bella, elegante, sensuale, volitiva, di circa trent’anni, che affacciatasi alla finestra della sua stanza d’albergo nel cuore della notte vede scappare un uomo braccato dalla polizia e gli dà rifugio; il rivoluzionario comunista Michel Boutros, «piuttosto bello, alto, forte, bruno, abbastanza malvestito, ma non volgare» che «aveva una voce maschia, gentile, abbastanza raffinata, nonostante l’affanno che lo scuoteva»; il marito di Margot, Rico, diplomatico italiano, “dongiovanni malinconico” e indolente per il quale «perdere le donne e perdersi attraverso le donne era diventato il senso del suo strano destino, nel quale le vanità più meschine colmavano il vuoto lasciato dall’assenza di grandezza»; e Malfosse, uomo d’affari, borghese, con suoi solidi pregiudizi, geloso spasimante di Margot.
Quella di Margot è un’indimenticabile figura di donna, che fu probabilmente ispirata a Drieu dall’amica e amante Victoria Ocampo: Margot era una donna che «dalla vita aveva ricevuto e le aveva restituito del buonumore. Tutte le persone che aveva incontrato le aveva trattate con umanità», e la sua “grazia spirituale”, «determinava un contrasto conturbante con la succulenza della sua carne (…)fatta in modo così evidente per provocare il desiderio più immeditato».
Margot tollera rassegnata i tradimenti del marito, accetta di essere corteggiata da diplomatici e uomini d’affari appartenenti ad un ambiente frivolo, sfoggia la civetteria prestandosi ai giochi di tutti senza tuttavia concedersi. Ma attende che in fondo al cuore sbocci la passione. È questa donna ad incontrare Boutros, il rivoluzionario votato alla lotta politica sotto le insegne del comunismo, a cui ha sacrificato affetti e vita personale. Tra i due sboccia l’amore che vince a poco a poco le indecisioni, le reciproche diffidenze, i pregiudizi di entrambi. Drieu descrive magistralmente «la catena delle brevi e grandi ore che avevano cominciato a legare i loro cuori».
Ma Boutros, ci chiediamo nel corso della lettura, è davvero un comunista? Ne dubitiamo. In una memorabile pagina del romanzo Boutros dissimula il suo turbamento di fronte alla bellezza delle rovine di Delfi e dice a sé stesso «non posso, non posso abbandonarmi alla nostalgia di ciò che è finito». Lui vuole creare qualcosa di nuovo e di duraturo, qualcosa che sfidi la morte e, indicando le rovine si rivolge a Margot e a Malfosse: «Sì l’ho percepita anch’io la vita; ho percepito che la vita era passata di là, ma anche che era passata (…) Dopo il Partenone, altri uomini hanno fatto le cattedrali; certo che si può fare ancora qualcosa (…) siamo all’ultimo respiro, da noi non rinascerà più niente nelle forme che ci sono note, in Europa la forza della creazione non ripartirà se non dopo terribili dissoluzioni». Ma nelle pagine finali del romanzo, nel drammatico confronto con Malfosse, confessa: «Credo che i comunisti siano tanto marci nel loro cuore e nel loro spirito quanto i capitalisti; ma per lo meno resta loro una scintilla di vitalità e di salute, vogliono il combattimento, la prova. Da questa lotta mi aspetto che venga fuori una profonda rinascita del pianeta o il suo sprofondamento secolare (…) questo è il fascino che mi ha fatto aderire al comunismo: me ne frego della dottrina». Il bisogno che lo muove è, dunque, meno un’adesione ad una dottrina politica che un sentimento di rivolta contro un mondo decadente. In fondo, questo rivoluzionario che parla di spiritualità e dà il primato all’azione, potrebbe essere scambiato tranquillamente per un fascista.
E da che cosa è attratta Margot? Certo dalla prestanza di Boutros. Ma anche dalla sua energia, dalla sua volontà di impegnarsi in qualcosa che vada oltre la propria vita. E cosa spinge Boutros nelle braccia di Margot? Forse il fatto che, come scrive icasticamente Drieu, la donna è “l’eterna telefonista” che «se la sapessimo interrogare, ci metterebbe ancora in comunicazione con le pieghe divine dell’universo».
Il romanzo è scorrevole, ricco di dialoghi, e solamente in qualche passo l’eccesso di introspezione e di bisogno esplicativo appesantiscono il ritmo narrativo.
Il romanzo, che tra l’altro è l’unico a lieto fine dello scrittore francese si prestava benissimo ad una trasposizione cinematografica. Ed infatti il regista Pierre Granier-Deferre nel 1977 ne trasse liberamente una memorabile versione cinematografica con attori eccezionali: Romy Schneider (Margot Santorini), Victor Lanoux (il giovane rivoluzionario Michel Boutros), Umberto Orsini (il marchese Rico Santorini), Philippe Noiret (Raoul Malfosse, l’innamorato non corrisposto di Margot) e Gastone Moschin (il commissario). La bella colonna sonora di Carlo Rustichelli sottolinea efficacemente le scene.
Il film verso la fine si discosta dal romanzo, perché il regista inventa un epilogo in pieno secondo conflitto mondiale, facendo comparire sullo schermo lo stesso Drieu ripreso sempre di spalle, mentre cammina tra due interlocutori, che sono il marito e il vecchio spasimante di Margot.
La pellicola di Granier-Deferre ha il pregio di aderire alla struttura letteraria del romanzo con un incedere lento, ma reso gradevole dai dialoghi e da una magnifica fotografia. Tra l’altro, «Sono da apprezzare le ottime ricostruzioni degli ambienti e delle atmosfere d’epoca».( Moreno Marchi in Celine Drieu. Tra schermo e palcoscenico).
Su tutto poi domina la luminosa interpretazione della Schneider, che come scrive il critico Massimo Bertarelli «è così bella da sembrare finta». (Il Giornale, 31 agosto 2003).
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