Il consumo di suolo: Un allarme

di Sandro Marano

 

Nessuna inversione di tendenza nel consumo di suolo in Italia. Il rapporto presentato il 3 dicembre scorso a Roma dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) non lascia dubbi. Nonostante la popolazione italiana sia in calo, la trasformazione del suolo naturale e agricolo in suolo artificiale (strade, edifici, capannoni, cantieri, ecc.) procede a ritmi serrati.

Nel 2023 il consumo di suolo in Italia è avanzato al ritmo di 20 ettari al giorno (o, se si preferisce, di 2,3 metri quadrati al secondo). Complessivamente nel 2023 l’Italia ha visto oltre 70 chilometri quadrati di superficie trasformata, un’area pari, per intenderci, a tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze messi insieme. Per giunta pure in zone a rischio idrogeologico.

La conseguenza, sottolineata doverosamente dall’ISPRA, è quella di ingenti danni economici stimati in 400 milioni di euro e dovuti essenzialmente all’impermeabilizzazione dei terreni, cioè alla perdita della capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico.

La cementificazione del territorio produce infatti una perdita netta dei servizi eco sistemici, quali la qualità dell’habitat, la produzione agricola, lo stoccaggio di carbonio, la regolazione del clima, e favorisce gli effetti disastrosi delle alluvioni e delle ondate di calore. Peraltro il rapporto dell’ISPRA chiarisce che a fronte degli oltre 70 chilometri quadrati resi inservibili nel 2023, la porzione restituita alla natura è di appena 8 chilometri quadrati (in gran parte per la dismissione di aree di cantiere). Ad oggi si è “consumato” il 7,16% del suolo italiano, pari a 21.600 chilometri quadrati.

Il recente (e obbligatorio, N.B.) regolamento europeo sul ripristino della natura (Nature Restoration Law) non ha prodotto finora risultati apprezzabili ed è attribuibile alla mancanza di volontà politica.

A livello regionale, gli incrementi maggiori di consumo di suolo in Italia nel 2023 si sono registrati in Veneto (+ 891 ettari), in Emilia-Romagna (+ 815), in Lombardia (+ 780) e in Campania (+ 643). Per quanto riguarda la Puglia va evidenziato che con i suoi 160.004 ettari di suolo consumato dal 2016 ad oggi è, tra le regioni meridionali, seconda solo alla Campania e col suo 8,27% di suolo consumato ha superato perfino la media nazionale.

Tra i capoluoghi spicca il dato allarmante e sconfortante di Bari, che con il 43,34% del proprio territorio già consumato guida la classifica regionale e conferma una triste tendenza negativa. Il capoluogo è sesto con + 16 ettari di suolo consumato nel 2023 dopo Roma (+71 ettari) Cagliari (+26 ettari), Venezia (+23 ettari), Bologna (+21 ettari)  e Milano (+19 ettari).

I dati di Bari e della Puglia devono suonare come un chiaro e drammatico segnale d’allarme per le amministrazioni pubbliche che le governano già da tempo e che certamente fanno impallidire Attila (si diceva che dove passava lui non cresceva più l’erba!).

Le cause principali sono ancora una volta da ricercarsi nell’espansione urbanistica incontrollata e nelle infrastrutture energetiche a terra (in particolare il fotovoltaico) con la conseguente e progressiva perdita di terreni agricoli.

Come scrive la giornalista Valentina Loretelli «serve un approccio sistemico per affrontare questa crisi: piani urbanistici più rigorosi, incentivi per il recupero e la riqualificazione di aree già edificate, e una maggiore tutela dei suoli agricoli. Ridurre il consumo di suolo non serve solo a preservare il paesaggio, ma è una necessità per garantire la sicurezza idrogeologica, la sostenibilità economica e la qualità della vita delle prossime generazioni».

Il consumo di suolo è al giorno d’oggi una delle sfide ambientali più urgenti.

 

 

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