Siamo fatte di carta di Annamaria Scocozza e immagini di Floriana Porta, Ventura edizioni, 2024

di Viviane Campi

 

Che cosa fare con un reggiseno, una mutandina, un paio di scarpe, una borsetta e via dicendo? Se è vero che ogni forma altro non è che una cosa, allora basta tentare di servirsene: altrimenti, bisogna asciugarsi gli occhi o distogliere lo sguardo, constatare che in ogni forma prende vita un senso, un controsenso e un altro movimento ancora. Allora la mano trova una superficie e su quella, un’impalpabile presenza. Le dita danno l’impressione di tracciare in aria un contenente nel quale percepiamo d’istinto un contenuto.

Nel libro Siamo fatte di carta, la poetessa (Floriana Porta) e l’artista (Anna Maria Scocozza) si uniscono in un’armonia perfetta, offrendo al lettore e al “regardeur” (colui osserva l’opera artistica), un’esperienza sensoriale unica. Attraverso forme corte, frammenti, aforismi, Baishù, haiku e Tanka, ci guidano in un viaggio di serena “intranquillità” nel cuore dell’universo femminile e del suo paesaggio intimo.

Le parole s’intrecciano con le immagini, creando un mosaico di emozioni, pensieri e riflessioni che risuonano nell’anima.

[La poesia] è un’armatura

dalla quale

non provo neanche a liberarmi.

Parlano con voce unica pur usando arti diversi ed è quello che rende quest’opera così speciale, alla maniera del Livre pauvre di Michel Butor e del poeta francese Daniel Lewers che ha fatto (e fa ancora) il giro dei musei e delle gallerie del mondo. Bisogna soffermarsi sulla capacità delle autrici di cogliere la bellezza e la complessità del “femminile” in tutte le sue sfumature. Non si limitano a celebrare la femminilità in senso convenzionale, ma ne esplorano anche i lati oscuri, il dolore, la strizzatina d’occhio, contraddizioni, lotte e vittorie.

È un ritratto autentico e potente di ciò che significa essere donna ‒ oggi ‒ in un mondo implacabile, in continua evoluzione. Il lavoro delle due “complici” si manifesta non attraverso quadri e parole come accade solitamente, ma attraverso “oggetti poetici e parole” fatti di carta, pagliuzze, rami secchi che si mutano in mutandine, scarpe ciabattine preziose borsette, reggiseni, insomma tutto quello che riguarda il vivere quotidiano di una donna. Questi oggetti non sono decorativi ma simboli di femminilità, di tradizione, di forza e di vulnerabilità.

In alcuni casi non manca un pizzico di effimero, d’ironia e autoderisione. Parlano di tradizione, di identità e di trasformazione, offrendo un punto di vista unico sull’universo femminile. I materiali (rigorosamente di recupero) danno un’impressione di fragilità e ciò rende l’opera a quattro mani e due cuori, ancora più coerente.

La forza di questo libro risiede anche nella capacità di recuperare la parte infantile che talvolta pare allontanarsi. Le forme corte e gli haiku lasciano spazio alla riflessione e all’interpretazione personale, invitandoci a esplorare non solo il nostro rapporto con la femminilità ma con il mondo che ci circonda. In definitiva, Siamo fatte di carta ‒ ma di carta preziosa, da accarezzare, alla maniera dei giapponesi ‒ è un’opera d’arte che celebra la bellezza e la complessità, la benevolenza e il tempo. Perché ci vuole tempo e pazienza per fabbricare un’opera simile. È un libro che pone domande. E non richiede risposte immediate.

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