Se guardo curiosando, il mio cuore si rabbuia di Giuseppe Zilli, Università della poesia J.R.Jimenez, 2024

di Cosimo Rodia

 

In continuità con “Carezze di perdono”, ecco il n. 14 degli opuscoli dell’Università della poesia J. R. Jimenéz: “Se guardo curiosando, il mio cuore si rabbuia” di Giuseppe Zilli, in cui la ricerca ontologica, dopo aver attraversato le forche caudine del dubbio, si slarga verso acque più tranquille, della certezza della fede.

Così i dieci testi presentano la convinzione che essere nella fede significa prefigurarsi senza più dubbio il Paradiso, luogo di luce e meraviglia; e con questa certezza nel cuore non vi è fretta per l’approdo, che invece “sarà dove sarà”. E nel cui luogo, i colori conosciuti nell’esperienza terrena non possono che essere sbiaditi, perché la luce del Paradiso è incommensurabile per l’uomo.

In questo luogo si verificherà (il poeta usa il futuro facendo intendere che è la meta cui tendere, anche se egli ha già il biglietto assicurato per raggiungerla) che “la meraviglia innesterà i fiori/dell’abbondanza le ali/dell’amore” e allora “i fili del rancore si scioglieranno” e “il cielo assorbirà la terra”: sarà tutto un profumo e amore; il tutto, poi, sorretto dal cuore (visto che la grazia toccherà i settecento veli di cui è costituito il cuore, secondo gli antichi mistici).

Qui il desiderio del Paradiso è appunto certezza di un mondo di letizia. E in questo Eden il poeta, quando vi giungerà, porterà i suoi attrezzi da artista, per creare bellezza nella Bellezza: lavorare i suoi ‘cuti’, affinché rispecchino il Cielo, confondendo, allo stesso tempo, terra e cielo.

Il poeta ascolta (“ascolterà”) la Parola perché prodiga lapalissianamente di verità, come le spighe del grano.

In questo mondo di bellezza bisogna crederci e il poeta esplicita il suo atto di fede: “Sì, sono servo del cuore”. Ovverossia, la potenza della fede rende chierici, credendo agevolmente in un mondo in cui si realizza la coincidenza di stelle e ‘cuti’.

E nell’apoteosi della fede, l’amore può tutto: ovvero, rende la luce e ci solleva dai gravami.

Nella penultima poesia il poeta rinforza l’idea che l’Amore è la scala al fattore per giungere a Dio: “I sette cieli si apriranno/ti sarà svelato il cuore”; i cieli sono la manifestazione della grandezza e della gloria dell’Onnipotente, che per giungervi bisogna dare credito all’amore, solo in questa maniera “la meraviglia/non è più un desiderio/dove gli occhi assaporeranno/la luce dell’invisibile”.

Nell’ultima lirica, Zilli richiama Adamo creato da Dio con un soffio sulla creta; egli, benchè terreno, ha in sé la bellezza, infatti, il suo volto trasuda “armonia”.

Benchè la meta non sia raggiuta (ce lo dicono i verbi coniugati al futuro), la vita dipana certezze, perché di questo mondo incorruttibile si conoscono le sue caratteristiche e la sua conformazione.

Un libretto di un uomo pacificato, che riesce a sollevarsi dal mondo terreno, perché Zilli ha la persuasione dell’innamorato e come tale non si pone il problema dantesco della non dicibilità di Dio, per lui il Paradiso è letizia, ed è quanto basta.

Viviamo in un tempo di nebbia e oscurità. Il mondo attraversa trasformazioni incredibili; sono crollate le ideologie del ‘900, dalle cui macerie sta prendendo forma un nuovo mondo, tutto volto alla virtualità e a dimensioni post-umane; si configura, infatti, un mondo tecnocratico, con l’umano carenzato di futuro e resistente alla Luce. Ebbene, le dieci liriche di Zilli hanno la forza nella sua semplicità, di opporsi a questa secolarizzazione inumana.

 

 

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