Misura della Francia di Pierre Drieu La Rochelle

di Sandro Marano

 

Scritto durante una vacanza in Tirolo e pubblicato nel 1922, Misura della Francia  è il saggio storico-politico di esordio di Pierre Drieu La Rochelle, nel quale lo scrittore francese prende le misure della Francia in mezzo al mondo e medita sul senso e sul destino dell’uomo contemporaneo. Nel testo prende corpo la sua idea politica, che sarà poi ripresa e approfondita nei saggi successivi: Ginevra o Mosca (1928) e L’Europa contro le patrie (1931), sulla necessità di una confederazione europea di patrie autonome ma solidali per evitare che i nazionalismi si sbranino tra di loro portando all’irrimediabile decadenza dell’Europa intera:

«L’Europa, situata tra Imperi di dimensioni continentali, comincia a soffrire il suo essere divisa in venticinque Stati, dei quali nessuno ha la taglia per dominare tutti gli altri (…) Forse attraverso la pratica della federazione, riusciremo a evocare l’anima defunta della patria europea e a ritrovare la filiazione dell’Europa cristiana del XIII secolo, della società aristocratica e intellettuale del XVIII. Non si tratta di una fantasticheria cosmopolita, di un’immaginazione lussuosa, ma di una necessità pressante, di una miserabile questione di vita o di morte. L’Europa si federerà oppure si divorerà o sarà divorata».  

Parole sorprendentemente profetiche, considerando che di lì a pochi anni sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale che avrebbe avuto come conseguenza la divisione dell’Europa in due sfere d’influenza: l’americana e la sovietica.

Il saggio, che lo studioso Bruno Pompili giudicava come “il più anticonformista del tempo” (in Pierre Drieu La Rochelle. Progetto e delusione), è scritto in modo assai originale, mescolando le argomentazioni di carattere generale ai risvolti personali. Questa sarà una caratteristica costante del Drieu saggista, quasi a voler rafforzare con l’esperienza personale le sue argomentazioni storico-politiche e filosofiche. Così ad esempio troviamo scritto: «Durante la guerra, io che non sono che un uomo di lettere, un uomo di studi, e che per conoscere la vita ha altre vie rispetto a quelle dell’azione, sono stato gettato nell’esercito. Di me è stato fatto un fante, un soldato di terra. Non ho lesinato nel darmi: la mia giovinezza prevaleva su tutto e laddove ci sono degli uomini un poeta può sempre vivere».

La novità di questo saggio sta nel fatto che Drieu pone a base delle sue argomentazioni i numeri per illustrare i rapporti di forze. Cosa che non sfuggì a Filippo Tommaso Marinetti che  su Le futurisme” dell’11 gennaio 1924  lo definì “il misuratore lirico della Francia”, né  tantomeno al suo biografo Pierre Andreu, secondo cui il saggio «costituisce uno dei tentativi più originali di ragionare in modo nuovo della realtà francese e mondiale nata dalla guerra del ’14» (in Drieu la Rochelle testimone e sognatore).

 «Nel 1814 – argomentava lo scrittore francese – la Francia contava venti milioni d’anime: 20. Nel 1914, trentotto milioni d’anime: 38. Ecco cosa significa l’incontro di questi due numeri. Cent’anni fa, soltanto cent’anni fa, 20 milioni di nostri antenati formavano la nazione più numerosa d’Europa (…) Oggi con 38 milioni di viventi, il nostro gruppo è il quarto dopo la Germania, l’Inghilterra, e l’Italia. E al di là dell’Europa come ci stiamo rimpicciolendo tra i 150 milioni di russi e i 120 milioni di americani».

Nell’ultimo appassionato e analitico capitolo, significativamente intitolato “Il cittadino del mondo è inquieto”, Drieu si concentra sulla situazione dell’uomo contemporaneo e sulla crisi del mondo moderno. Qui, mettendo da parte la retorica, che a volte fa capolino in talune pagine del saggio, lo scrittore fa un’analisi impietosa del declino dell’uomo e istruisce una sorta di processo al mondo moderno:

«Religione famiglia, aristocrazia, tutte le antiche incarnazioni del principio di autorità, non sono che rovina e polvere. Rifugiatesi nelle parole, il loro ambito è tanto l’avvenire quanto il passato, non possono sfuggire all’esilio del ricordo se non per scivolare verso l’utopia misteriosa (…) Non esistono che dei moderni, della gente in affari, della gente con dei benefici o dei salari; i quali non pensano che a questo e non discutono che di questo. (…) Tutti passeggiano soddisfatti in quest’incredibile inferno, in quest’universo di cianfrusaglie che è il mondo moderno, nel quale ben presto non penetrerà più nessun barlume spirituale (…)  Non ci sono più partiti nelle classi, non ci sono più classi nelle nazioni e domani non ci saranno più nazioni, più nient’altro che un’immensa cosa incosciente, uniforme e oscura, la civilizzazione mondiale sul modello europeo».

Consapevole che il tempo stringe, Drieu non si limitava alle constatazioni, ma prefigurava una sorta di rivoluzione culturale per cambiare le cose, «una lotta paziente, secolare, discreta contro la follia materialista».

Queste le parole conclusive del saggio: «Se si crede che la vita meriti di essere vissuta e che il suo oggetto sia la creazione di un bambino che corre e che muore, di una statua che dura e che si sgretola, di un poema che si sfoglia. A meno che non si preferisca discostarsi dal centro convenzionale delle cose, marciare verso i confini, esplorare la morte».

 

 

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