Volevo scrivere un post, poi mi sono dilungata di Anna Lena Polo, I Quaderni del Bardo Edizioni, 2024
Redazione
È il racconto di mesi difficili e imprevedibili. L’arrivo fulmineo della diagnosi di malattia oncologica ha permesso il rifugio nella scrittura.
Le sfumature di questo rapporto affascinante e complesso sono dentro ciascuno di noi e nelle persone che entrano nella nostra vita, e Claudia non l’ha lasciata mai da sola, le ha telefonato ogni giorno, ha sofferto per lei e pregato per lei. Claudia sono tutte le persone che le sono state accanto, ma anche quelle che non sono riuscite a farlo. Claudia è il suo alter ego che non posta più su Facebook per accaparrarsi dei gratificanti e artificiosi “Mi piace”, ma scrive per lenire e dare un senso a quella tensione che rischiava di bruciarla.
“È un genere letterario, quello del memoir, oggigiorno molto frequentato dagli scrittori, e dunque benvoluto dall’editoria. Al di là della posizione che si voglia tenere sull’autofiction nel dibattito per addetti ai lavori, e in particolar modo la quota di finzione che si è disposti a riconoscere a questo “io che prende la parola”, è indubbio che in un libro di memorie personali il lettore è por tato ad attribuire al narrato il massimo grado di identificazione fra autore e narratore, fra fatti rievocati e verità storica, e questo indipendentemente da quanta verve compositiva l’autore abbia iniettato nell’Epos messo in scena. L’agile memoir che Anna Lena Polo ci consegna, di verve narrativa ne contiene moltissima da confinare spesso con la letterarietà, ed è questa caratteristica che lo differenzia da un qualsiasi libro di self-help o di testimonianza di una disavventura nella quale immedesimarsi. Non che leggendo queste righe sia particolarmente difficile identificarsi con la protagonista e non si speri fino alla fine nel lieto fine così come tutti noi ne agogniamo uno per i nostri problemi grandi e piccoli. Tutt’altro. L’autrice riesce a creare suspense e tensione narrativa per infine trasmettere il messaggio di speranza che ci attendiamo. E tuttavia è il modo in cui lo fa a risplendere in quest’opera prima. Non è facile riportare il terremoto interiore, lo sconquasso familiare, il calvario per centri diagnostici prima e di cura poi nel momento in cui la notizia che c’è un cancro contro il quale combatte piomba nella vita di un essere umano. Anna Lena Polo lo fa con grazia e usando un tocco lieve, mai vittimistico né lamentoso e anzi impreziosito da scintille di ironia che illuminano il racconto. E, nel dispiegarsi di episodi e situazioni che narrati da un’altra penna sarebbero dei non-eventi ambientati in paradigmatici non-luoghi, fra descrizioni affettuose e benevolmente facete di pazienti accomunati dal medesimo destino ma dalle esistenze radicalmente differenti, si avverte forte un sentimento di umana solidarietà, di affetto universale che dona calore e sostanza a spazi anodini e grigi e fa pensare alla celeberrima Nobil natura è quella / ch’a sollevar s’ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo / confessa il mal che ci fu dato in sorte. (Livio Romano)
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