Hanno provato a rompermi di Margherita Bufi

di Cosimo Rodia

 

Hanno provato a rompermi di Margherita Bufi è l’opuscolo n. 2 dell’Università della poesia J. R. Jimenez.

È un insieme di dieci testi, quasi un diario poetico, intimo, da cui traspare l’attesa, il perdono, la limpida saggezza, dove il mondo esterno è attraversato con le esperienze individuali; è una fenomenologia della gioia e del dolore, con il cui monologo, l’autrice rende trasparente a se stessa le pieghe dell’animo, formatesi nel corso del viaggio.

Nella poesia iniziale “All’improvviso” troviamo un gioco metaforico tra l’improvviso temporale e la ritirata verso le certezze psicologiche (“corro a prendere le mie certezze”); ovvero, un atteggiamento di sovrapposizione semantica tra una tempesta estiva (fatto oggettivo) e gli stati d’animo. Nella poesia successiva “Corteggiamento” si ripropone lo schema del correlativo oggettivo, col desiderio nostalgico di un corteggiamento all’antica tra i cavallucci marini, probabilmente un contraltare ad un algido presente.

La terza lirica, che dà anche il titolo al fascicolo, mostra come la vita sia attraversamento di deserti, con un aggravio in più quando essi coincidono coi luoghi conosciuti; ma la persona è fatta di sogni e determinazione anche quando si trova a remare controcorrente.

Il mare è nel DNA dell’autrice, nei cui contorni naturalistici, v’iscrive l’infinito, in cui ripone i sogni (“quella linea verde/all’orizzonte/netta e sottile/che rincorre l’infinito”). Naturalmente i tramonti, i colori e odori costituiscono un’appartenenza indelebile.

In “odore di camomilla” la memoria diventa la condizione di rendere vividi i ricordi che costituiscono il transito delle cose belle (“Mi lascio il buono[…]e il tempo… profumato”); il profumo nella fattispecie raggruma altri aspetti esistenziali. In “Pensieri” troviamo affastellati un accumulo di verbi che accennano a momenti di contrasto e di affetti traditi; allora l’autrice tenta di allontanarli e cacciarli nella zona grigia della coscienza, come se la ragione avesse la capacità di razionalizzare ogni aspetto dell’esistenza!

In “Quando” i versi sono dolcissimi; l’autrice si prefigura la morte della mamma (“Quando/te ne andrai/ti trascinerai dietro/l’ultimo pezzo della mia infanzia/ed io smetterò di essere/figlia”) momento in cui avrebbe perso le piccole attenzioni, ed orfana avrebbe conservato ogni cosa in una valigia. Un’idea che è già un addio.

In “Sculture” i ciottoli sono come conchiglie che raccontano. “La sedia di Vienna” è la metonimia di un incontro che non v’è stato. La “Solitudine” è quasi anelata da adulta (“Ora amo i suoi/silenzi”) condizione per inquadrare il modo d’essere nel mondo, benchè da giovane fosse rifuggita.

Una poesia su cui è steso un velo di malinconia, mentre si affrontano i temi dell’attesa, del ricordo e, in particolare, del tempo, che nella sua marcia inarrestabile si consuma tra esempi amorevoli (cfr. la mamma) e la vita reale fatta di attraversamenti impervi, contrarietà, equazioni irrazionali, queste ultime mai cercate, in verità, di risolvere, perché è intervenuto il sentimento d’amore con tutti i suoi corollari: disponibilità, perdono, attesa, pazienza.

È una poesia dal linguaggio semplice e quotidiano, che si muove sul filo della confessione, in cui l’Io si configura emblema di un dover essere, propedeutico a creare ponti di comunicazione e permettere all’esistenza di dipanarsi in rapporti produttivi, confortati dalla bellezza della natura e dagli affetti pregressi. È una poesia dalla forma immediata, dal carattere spoglio e antiretorico.

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