Scisma di Ilaria Palomba, Les Flâneurs, 2024

di Barbara Gortan

 

Nel 2024, a due anni da una tragedia personale, Ilaria Palomba affida alle pagine del suo Scisma i sentimenti profondi e gli interrogativi sofferti di una sopravvissuta.

 

Non immaginavo di aprire gli occhi

la voce disse: Ingoia la fame.

E poi la finestra, i vetri,

di schiena, rovescia i palazzi.

Mi sveglio nella foschia del dolore,

Quale parte di me è rimasta?

Siamo nell’aldilà?, chiedo.

No, siamo molto aldiquà, dice.

Cosa mi aspetta?

Nessuno sa se supererai la notte.

 

C’è un tempo nel quale la luce sparisce e i colori sono uguali. Il volto è nel deserto, le immagini non cambiano e non c’è niente. La realtà discrepante da un immaginario proiettato verso un assoluto irraggiungibile. Ogni istante ci lascia morire, rinchiusi in una esistenza detentiva della nostra condizione.

Il senso è assorbito dalla percezione, un tutto in cui non c’è una promessa.  Avanza nel buio una profezia, l’amore.

 

Io non vedrò più luce

voglio essere amata dalla tenebra nerissima

volto nel deserto.

Amata, oltre la profezia, verso

il limite accecante del buio

dal folle sole calante.

 

La liberazione da stereotipi è la ricerca spasmodica, quasi disperata del vero autentico. Si avanza nel buio e si ansima nell’urgenza di vita che distrugge per ricreare.

 

La casa vuota dei nomi la casa del deserto per il suono dell’organo

nera luce intorno

non hai più Dio

è il Dio dell’abbandono il tuo nome di grafite

decomposto parla con i morti

il cimitero della mente

epidemia

diecimila voci rapaci

il nemico armato

è l’occhio

il nemico interno

è l’altro

un plotone di sguardi

i blister

la finestra

le gambe raccolte i palazzi al rovescio scempio.

 

È una separazione con una spaccatura, un distacco dal mondo e dalla vita, lo scisma, la divisione, l’allontanamento è la via da seguire. Tra due parti della mente una mancata corrispondenza, la disperazione è una condanna, l’abbattimento, la scissione dell’anima con il corpo.

Nel respiro, l’immagine si raffigura tenue, evanescente. La mente si incorona di intrecciate spine poco prima della sua missione. Svanire sfumando fondendosi immacolata, scomparire nel bianco per riemergere leggera.

Vuole fermare il dolore ed è un fortissimo richiamo alla vita. Uccide per vivere.

 

Queste mie lacrime

siano poi scambiate

con il corallo puro

e trasformate in

essenze marine.

Questo mio dolore

sia poi germoglio

di mille giardini fioriti.

Mai sazia la vita.

 

Uccide se stessa, per la fortissima voglia di vivere, per non appartenere a quello spazio della non affermazione di sé. L’ego è stato ferito fortemente, non può restare in vita, bruttarsi. La caduta del proprio nome, il fallimento.

 

Sono nata senza nome

perché tutti i nomi portavano a te

il mio nome non è il mio nome.E la condanna – il mio nome – la strada del Golgota.

Il mio nome muore tra membra vive

il mio nome smargina i muri

il mio nome ipnotico, cavo.

 

Si parte dal desiderio di strapparsi dal proprio nome, dal proprio destino, dalla propria storia, ma è anche un grandissimo desiderio di esserci, dice Maurice Blanchot.

Catone L’Uticense, viene eletto da Dante a custode del Purgatorio e destinato al Paradiso: in questo caso il suicidio viene letto come estremo atto di libertà, più importante della vita stessa.

 

La vigilia del nome è lo stigma tralascia il tuo nome

assali il tuo nome.

La caduta del nome nel marmo dissolvi il tuo nome

sbrindella il tuo nome.

Sei un covo di spago hai croci nel midollo.

Rinuncia al tuo nome distruggi il tuo nome.

Non esiste donna né uomo persona è anelito nudo.

Rinnega il tuo nome massacra il tuo nome.

Accontentati della crepa nascondi il tuo nome l’assalto alle ossa.

 

È un fortissimo richiamo alla vita, la poesia  fiorisce in versi di costruzione, la poetessa trova in essa una consolatoria quanto irrinunciabile bellezza che a nulla vuole sottostare.

Il vento entra nell’alba… si accavalla, lambisce, nasce nel solco del sole… tremolante inonda ogni mancanza.

Lascia un commento