Il ragazzo dai pantaloni rosa

Regia: Margherita Ferri

Con: S. Carrino. C. Pandolfi, S. Ciocca, C. Fortuna, A. Arru, P. Serpi

Italia, 2024. Durata: 114’

 

di Italo Spada

 

Meno di due minuti: è questo il tempo che, ne Il ragazzo dai pantaloni rosa, primo lungometraggio di Margherita Ferri, ci viene concesso per condividere le sofferenze di una partoriente e il pianto liberatorio di un neonato, la gioia dei genitori e la tristezza di una voce fuori campo che dice: «Tutto questo accadeva 27 anni fa… Oggi avrei 27 anni.»

Non sappiamo ancora quello che accadrà, ma quel condizionale dell’io narrante ci accompagna per tutta la durata del film e anticipa la fine della storia: quel  bambino non c’è più. Spazio, allora, alla nostra curiosità e a ciò che ci narrerà il diretto interessato: Che cosa è successo? Quando? Dove? Perché?

Con il susseguirsi delle sequenze, sapremo che si chiama Andrea (brillantemente  interpretato dal giovane Samuele Carrino), è il primogenito di Teresa e Tommaso Spezzacatena, vive a Roma, trascorre vacanze felici al mare e in campagna, è bravo a scuola, è dotato di una voce talmente bella da superare la selezione delle voci bianche del coro papale. La sua vita cambia proprio nel delicato momento dell’adolescenza, quando i suoi genitori decidono di divorziare e lui, per gioco o per cattiveria innata di alcuni coetanei, diventa bersaglio di atti di bullismo. L’amore della mamma e i successi scolastici non bastano a fargli superare la delusione per il tradimento di Christian, l’amico Giuda – bello ma stronzo, come lo definisce Sara, sincera e dolce compagna di scuola, che  ricambia i suoi favori e le sue attenzioni con allusioni e scherzi pesanti. Tutto precipita quando l’ingenuo Andrea,  già deriso per il colore dei suoi pantaloni, cade nella trappola che gli tendono Christian e il gruppo dei bulli.  Convinto di uniformarsi agli altri, prende parte al ballo di fine anno travestito da prostituta, viene aggredito in bagno e trascinato davanti a tutti. Dalla vergogna alla rabbia, dallo scoraggiamento alla crisi irreversibile quando su Facebook è preso di mira per la sua presunta omosessualità. Entra in depressione, si chiude in se stesso, attende il compimento del suo quindicesimo compleanno e dice addio alla vita.

Stacco. Salto di anni e cambio di io narrante.

Teresa (una splendida Claudia Pandolfi) è davanti al computer. Grazie alla password confidatale dallo stesso Andrea, ha scoperto che il suo ragazzo si è suicidato perché non ha resistito agli attacchi mediatici dei suoi coetanei; da qui, la decisione di scrivere Andrea. Oltre il pantalone rosa e di dedicarlo ai suoi figli affinché «il sacrificio dell’uno valga il riscatto dell’altro.»

Dalle didascalie che si susseguono nei titoli di coda, veniamo a conoscenza di altri particolari: «20 novembre 2012. Andrea Spezzacatena si tolse la vita senza lasciare un biglietto»; «Teresa Manes ha dedicato il resto della sua vita a parlare dei pericoli del bullismo e del cyberbullismo a migliaia di studenti in tutta Italia»; «Nel 2022 è stata insignita da Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere della Repubblica per la sua opera di sensibilizzazione.»

Motivi più che sufficienti per proporre la visione di questo film – che è stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024 e ha ottenuto pareri favorevoli dalla critica e un bel po’ di riconoscimenti – soprattutto ai ragazzi e a quanti (genitori, docenti…) hanno a cuore la loro formazione. Eppure…

Eppure, in un cinema di Roma, durante una matinée riservata alle scuole, alcuni studenti, protetti dal buio della sala, hanno espresso pesanti commenti omofobi a tal punto da provocare l’interruzione del film e suscitare il disappunto del Ministro dell’Istruzione; in un istituto di Treviso, un gruppo di genitori l’ha ritenuto “inadatto” alla visione dei ragazzi e ha tentato di bloccarne la proiezione.

Non ci vuole una buona dose di fantasia, soprattutto per chi ha avuto esperienza didattica, immaginare, nel primo caso, la difesa di avvocati difensori («Ragazzate! Non è il caso di drammatizzare! Ma cosa volete che sia un Buuu di  minorenni rispetto a tutto quello che succede nel Senato e nella Camera dei Deputati! Si sa che queste cose sono sempre accadute nella scuola…») e, nel secondo caso, la scandalosa reazione di chi non reputa adatto toccare certi argomenti che esulano dalla cultura intesa stricto sensu.

Non basterebbe una lectio magistralis per confutare gli uni e gli altri; ma è impossibile tacere del tutto quando si confondono capre e cavoli. Si sa, d’altronde, che, spesso, con poche parole si possono dire più cose di quante non se ne dicano con un lungo sermone. E allora, prima del suono della campanella e/o dell’accensione delle luci in sala:

  • No, ragazzi. Ripassate la lezione di Orazio che nelle sue Satire dice: «C’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto.»
  • E voi genitori date retta ad Antonio Gramsci che ne I quaderni del carcere precisa: “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri.»

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