La poesia civile di Parini
di Sandro Marano
La poesia civile ha un modello grandissimo e ineguagliabile nella Divina Commedia. Chi non ricorda l’invettiva contro l’Italia (canto VI del Purgatorio) o contro Firenze dilaniata dalla guerra civile (canto XXVI dell’Inferno) o la condanna dell’usura (canto XVI dell’Inferno)? Dopo Dante la poesia italiana prese un’altra strada. Fu poesia intimista e d’amore con Petrarca o poesia fantastica e d’evasione con Ariosto. Per ritrovare la poesia civile dobbiamo attendere il XVIII secolo e l’illuminismo con le sue idee di riforma sociale e morale.
E il primo nome che viene alla mente è quello di Giuseppe Parini col suo poemetto Il giorno (1763-1765) in cui fustiga i costumi d’una nobiltà decaduta. Malgrado lo stile classicheggiante, legato a formule di sapore arcadico, ricompaiono nella sua poesia i contenuti civili, politici e morali. Non a caso Francesco de Santis indicò nel Parini il primo poeta della nuova letteratura, pur precisando che «in lui l’uomo valeva più che l’artista».
La funzione della poesia, che vale in quanto civile, è ben espressa nell’ultima sestina dell’ode La salubrità dell’aria, pubblicata nel 1791, ma scritta già nel 1759:
Va per negletta via ognor l’util cercando la calda fantasia che sol felice è quando l’utile unir può al vanto di lusinghevol canto.
Nell’ode, che si sviluppa in ventidue sestine di settenari rimati (secondo lo schema ABABCC), Parini non solo punta il dito contro l’inquinamento ambientale di Milano, cagionato dalla coltivazione del riso tutt’intorno al tessuto urbano e dai rifiuti ammorbanti, ma individua anche correttamente le cause dell’inquinamento nel “lucro”:
Pèra colui che primo a le triste oziose acque e al fetido limo la mia cittade espose; e per lucro ebbe a vile la salute civile.
La coltivazione del riso infatti aveva formato acquitrini a ridosso del perimetro urbano diffondendo esalazioni malsane, zanzare e malaria. A ciò si aggiungeva il non corretto smaltimento dei rifiuti urbani.
Il problema ambientale, insomma, era ben vivo nella coscienza del poeta, che peraltro contrappone la salubrità dell’aria in campagna (la Brianza d’allora, ben diversa da quella cantata nel 1980 da Battisti in Una giornata uggiosa!) all’aria malsana della città. E nella contrapposizione introduce perfino una nota di malizia alludendo alla sensualità delle contadine brianzole.
Ma dove ahi corro e vagolontano da le belle colline e dal bel lago e da le villanelle a cui sì vivo e schietto aere ondeggiar fa il petto?
Parini si trova a vivere all’inizio della rivoluzione industriale, ma già sembra avere consapevolezza dell’incipiente inversione del rapporto tra economia e società con la subordinazione della seconda alla prima:
Stolto! e mirar non vuoi ne’ comun danni i tuoi?
(vv. 119.120)
Quando la crescita economica (produrre vendere e consumare sempre più) diventa l’imperativo categorico della società non può che verificarsi quel «torrenziale moltiplicarsi delle esigenze materiali voluto dalla nuova dirigenza economica del mondo, unicamente per i propri fini di profitto» (Rutilio Sermonti). Con tutto quel che ne consegue in termini di inquinamento, degrado del territorio, distruzione della biodiversità, disagio sociale ed esistenziale.
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