La narrazione formativa” di Cosimo Rodia, PensaMultimedia, Lecce

di Hervé A. Cavallera

(Università del Salento)

 

Il volume di Cosimo Rodìa ha un intento importante. Quello di mostrare come sta cambiando la cosiddetta letteratura per l’infanzia, denominazione ormai diffusa nelle cattedre universitarie, anche se io personalmente parlerei di letteratura formativa, essendo troppo limitante la definizione fatta propria dal ministero.

E va anche precisato che si tratta di una letteratura con un intento chiaramente formativo, anche se con esso deve necessariamente essere tutt’uno una valenza narrativa, descrittiva, letteraria, insomma. Perché un libro deve pure esser letto, e per essere letto un libro formativo deve esser piacevole, scritto con garbo e capacità stilistica. E se non si tratta di un libro, ma di un fumetto o di un film o di qualunque altra forma di comunicazione, va sempre richiesta, in funzione della sua spendibilità, l’idoneità espressiva, che ne fa un “prodotto” fruibile con gusto. Di là da certa manualistica scientifica che pur può essere di grande importanza per i suoi contenuti, ma questi non sempre sono argomentati con abilità letteraria.

Ciò va ribadito, perché consente di fare chiarezza su tanti testi che vengono spacciati d’essere di letteratura per l’infanzia e non sono altro che roba di mercato-usa-e-getta o elucubrazioni concettuali che non soltanto non servono ai giovani lettori, ma risultano stucchevoli per gli stessi adulti che li scorrono per necessità professionale.

Orbene, per chiarire la situazione italiana attuale Rodìa prende il discorso un po’ alla lontana, dalle fiabe ormai classiche dei fratelli Grimm e di Andersen per giungere un poi ai grandi padri italiani della letteratura formativa di fine Ottocento e primo Novecento: Collodi, De Amicis e Vamba. Si discorre poi con padronanza della letteratura d’avventura, che ha in Verne in Francia e in Salgari in Italia, dei rappresentanti significativi.

La carrellata storica non solo ha valore in sé, ma giova a specificare l’humus da cui si diparte la contemporaneità italiana, da Gianni Rodari ai giorni nostri. Sulla narrativa per giovani a partire dagli anni Ottanta, Rodìa offre un interessante panorama, soffermandosi su diversi autori e su diverse tematiche, dai romanzi d’impegno civile a quelli fantastico-surreali, ai libri-game, sviluppando, infine, varie riflessioni sull’educazione alla lettura, su coloro che devono promuoverla e sulla realtà familiare.

Sotto tale profilo il volume è più cose insieme: può essere letto come una sintesi della letteratura formativa a partire dai fratelli Grimm; può essere considerato una delle più ampie illustrazioni delle diverse prospettive che va assumendo al presente la letteratura formativa; può essere, infine, la testimonianza di come quest’ultima, pur nell’età mass-mediale, conservi un suo spazio preciso con risultati interessanti e che registrano, in maniera differente, le esigenze e le attese del tempo. Scrivere per i giovani è in fondo cercare di spiegare come li vorremmo. Il discorso ritorna e si ritorce sull’autore. Chi scrive per i giovani, per i ragazzi, per i bambini, quando non è un mestierante che mira al profitto, deve, infatti, tener presente non solo i gusti del “suo” pubblico, ma al tempo stesso aver volontà e intelligenza per orientarlo e guidarlo. Lo scrittore formativo esprime non solo il proprio punto di vista, come avviene per chi fa letteratura, ma ci tiene affinché il suo punto di vista divenga quello degli altri. Si manifesta l’educatore, non proprio il pedagogo.

Varie volte si è osservato che il risultato è migliore e più incisivo, quando lo scrittore non pensa a fare il maestro ma fa, appunto, lo scrittore. Ed è vero, a patto, però, che egli abbia già fatto sua una visione della vita e che questa gli sia connaturata sì da non essere imposta, ma da generarsi attraverso la narrazione stessa. In realtà, la vera letteratura formativa ha intrinseca a sé la natura educativa, direi sapienziale, sicché il lettore la fa propria senza avvedersene, laddove invece, quando si insiste sulla stessa, la si prende a noia, e la si respinge con tedio.

Esempio di tale natura è l’incipit del Cunto de li cunti o Pentamerone di Giambattista Basile (1575-1632) che qui cito nella traduzione in italiano, dal dialetto napoletano, ad opera di Benedetto Croce: «È proverbio assodato, di quelli di antico conio, che chi cerca quel che non deve, trova quel che non vuole; e si sa che la scimmia, per calzarsi gli stivali, restò presa pel piede. E così accadde ad una schiava stracciona, che, non avendo mai portato scarpe ai piedi, volle porsi la corona sul capo. Ma poiché la mola spiana tutte le scabrezze, e viene un giorno che tutto si sconta, colei che per mala via aveva usurpato quel che spettava ad altri, incappò finalmente nella ruota dei calci, e quanto più in cima era salita, tanto maggiore fece il capitombolo» (G. Basile, Il Pentamerone, trad. e intr. di B. Croce, vol. I, Ia ed. U.L., Laterza, Bari 1974, p. 3). Passo in cui, oltre a riferimenti letterari come il Morgante, vi si può scorgere tutta una antica saggezza che è evidente allorché si dice che tutto si sconta ciò che viene usurpato. Così, attraverso la curiosità che il lettore prova verso la scimmia con gli stivali o verso la schiava che si fa regina, si comprende che chi sovverte l’ordine delle cose ne paga il fio.

Sotto tale aspetto le fiabe, quando di grandi autori, hanno effettivamente un contenuto formativo estremamente profondo e spiegano molto bene che ciò che produce il male si ritorce nei confronti di coloro che lo compiono. Del resto, aveva già scritto il Sannazaro, in un verso ricordato da Basile (op. cit., p. 116): «L’invidia, figliuol mio, se stessa macera». In breve, insegna il Basile, citando un proverbio attribuito a Farinata degli Uberti, quando egli difese Firenze a viso aperto: «Passa la capra zoppa / se non la trova chi la intoppa» (op. cit., p. 39): il male va avanti finché lo si fa fare, ma questo non accade mai a tempo indeterminato.

A me pare che una volta, quando l’educazione era formazione, le narrazioni avevano, sui più giovani, altro effetto di quando si vuole a tutti i costi condurre a scegliere posizione e, sostanzialmente, ad indottrinare. Ora, il libro di Cosimo Rodìa, scritto con larghezza d’informazione e con animo di educatore, intende fare in qualche modo il punto sullo stato attuale dell’arte e pertanto costituisce un’interessante testimonianza che consente al lettore di venire a comprendere ciò che viene illustrato e talvolta propinato ai più giovani. Certo, naturalmente non tutto vi è descritto e cura particolare è rivolta alla letteratura italiana contemporanea, laddove bisognerebbe dedicare non poca attenzione, come l’Autore ben sa, agli influssi della letteratura d’Oltralpe, e in specie angloamericana, che esprimono meglio le caratteristiche del mercato globale, ma un libro ha spesso il compito non di chiudere un discorso, bensì di aprirlo, come questo, invero, che qui si presenta, che molto contiene su cui si può legittimamente riflettere e discutere.

 

 

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