Intervistiamo: Maria Grazia Calandrone.

di Fulvia Degl’Innocenti

 

Dodici anni fa moriva Alda Merini, poetessa e personaggio molto popolare per il suo atteggiamento bizzarro e provocatorio. Per l’occasione esce la biografia poetica “Una creatura fatta per la gioia”, Solferino editore, di Maria Grazia Calandrone.

 

Lei ha conosciuto Alda Merini?

«Purtroppo no, ma durante il lockdown ho accettato un lavoro su commissione per un allegato del Corriere della sera su di lei, e ho avuto modo di rivedere i miei pregiudizi sulla Merini. La snobbavo come poetessa e invece ho scoperto che al di là del personaggio aveva una vena profonda e autentica».

 

La sua anima non è stata intaccata dalla psicosi?

«Cominciò a scrivere poesie a 16 anni, il suo primo ricovero in manicomio quando ne aveva 33 e due figlie. Lei era poetessa non perché malata, ma nonostante la follia. La psicosi è una gabbia, mentre la poesia è libertà, si può dire che scrivere l’abbia salvata dal perdere totalmente la ragione malgrado i ripetuti elettroshock».

 

Quanti davvero conoscono le sue opere e non solo la sua immagine per certi versi pop?

«Molto pochi. Non tutto quello che ha scritto è di buon livello, prima che le venisse riconosciuta la legge Bacchelli pubblicava di tutto per vivere, ma ci sono almeno tre raccolte bellissime: “Ballate non pagate”, “Vuoto d’amore” e “Terrasanta”».

 

(Già pubblicata su – FC 49/2021)

 

 

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